“Il Decreto Salvini smantella e snatura il sistema dell’accoglienza”

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Esprimo una seria preoccupazione per i contenuti del decreto Salvini, che mettono a serio rischio un percorso di integrazione che a fatica il nostro territorio ha cercato di costruire negli ultimi anni con richiedenti asilo e protezione internazionale.

Sono molti i passaggi del decreto che ci preoccupano e che da due settimane stiamo analizzando a livello di gruppo Anci sia su scala regionale che su scala nazionale.

Il progetto di modifica radicale, per non chiamarlo “smantellamento o snaturamento” del programma di seconda accoglienza Sprar, andrà a ridurre la possibilità di lavorare con i richiedenti asilo e con i titolari di permessi umanitari considerati casi vulnerabili, togliendo l’accompagnamento a un inserimento graduale nella vita della città, con potenziamento linguistico e opportunità di inserimento lavorativo.

Questo programma, a cui il Comune di Reggio Emilia aderisce da oltre dieci anni, è importantissimo nell’accompagnamento all’inserimento nella comunità ed è riconosciuto nella sua efficacia sia a livello locale che a livello internazionale. È inoltre il programma a cui aderiscono i Comuni e che vede un dialogo constante tra enti locali e servizio centrale, con formazione, aggiornamenti, monitoraggi e valutazioni periodiche.

Si smantella in sostanza un sistema che consente il dialogo con i sindaci e con i Comuni nel costruire progetti di accoglienza trasparenti, coerenti, diffusi. Il suo snaturamento porterà seri problemi nella ricostruzione di un sistema di coesione e di tenuta sociale, oltre a togliere un ruolo importante ai Comuni nel costruire progetti e percorsi di integrazione che siano coerenti con le diverse identità di territorio.

Non solo lo Sprar, ma l’intero sistema di accoglienza straordinaria rischia di mutare nelle sue strutturazioni, e quel sistema diffuso, che a fatica Reggio e l’Emilia-Romagna hanno costruito, è messo oggi in discussione per favorire grandi assembramenti (per non dire ghettizzazioni) con alloggi unitari e sistemi unici di erogazione dei servizi.

L’accoglienza diffusa, invece, per quanto complessa nelle relazioni di vicinato favoriva un impatto più gestibile sulla città e facilitava percorsi di integrazione proprio perché evitava grandi numeri.

Viene da chiedersi come e in che tempi uno smantellamento e un mutamento radicale di principi dell’accoglienza fino ad ora applicati avverrà. Il territorio rischia di vivere grandi tensioni sociali.

Infine, tra le molte indicazioni che sollevano perplessità, preoccupa non poco la preclusione all’ottenimento della residenza con iscrizione all’anagrafe per i richiedenti asilo; ci si chiede come sarà garantito l’accesso ai servizi socio-sanitari, indispensabili sia per tutelare la vita umana delle persone in accoglienza sia per garantire la sanità pubblica e la coesione della nostra comunità. Questa disposizione, inoltre, pregiudica la capacità dell’ente locale di conoscere e avere un chiaro quadro delle persone che risiedono e che convivono sul territorio di riferimento.

L’abolizione del permesso per motivi umanitari e l’introduzione di casistiche dedicate con condizioni di permanenza limitate, e in taluni casi con divieto di trasformazione in permessi di lavoro, è in linea con la volontà preannunciata a luglio di ridurre le casistiche sulle quali le commissioni territoriali chiedevano la concessione del titolo di soggiorno per motivi umanitari; ma l’effetto di questa riduzione rischia di alimentare il fenomeno della clandestinità e della permanenza sul territorio senza titolo di soggiorno, con conseguente alimentazione del circuito informale di sfruttamento che è lesivo del sistema di coesione nelle città.

È una misura che genera disagio e insicurezza sui territori (l’importo indicato per potenziare i rimpatri è irrisorio rispetto all’onerosità del processo).

Le preoccupazioni in essere sul cambiamento in atto ci richiamano all’obbligo di rimanere vigili rispetto a quanto sancito dai principi fondamentali della Costituzione e in particolare al richiamo fatto dal presidente della Repubblica Mattarella nella Relazione di accompagnamento al decreto, ove indica: “Avverto l’obbligo di sottolineare che, in materia, restano fermi gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato, pur se non espressamente richiamati nel testo normativo e, in particolare, quanto direttamente disposto dall’art. 10 della Costituzione e quanto discende dagli impegni internazionali assunti dall’Italia“.

L’articolazione finale del decreto mette seriamente in discussione i concetti di solidarietà, welfare, dignità e diritti umani universali, che il territorio reggiano ha saputo declinare in forma innovativa nel corso di oltre 70 anni di storia, dal dopoguerra ad oggi. Questo ci esorta a essere fermi nel dichiarare che i progetti e i percorsi attivati sono stati positivi per il territorio, e siamo pronti a costruirne di nuovi per riaffermare che questi sono valori fondanti la nostra storia.

Serena Foracchia
assessore alla Città internazionale del Comune di Reggio Emilia