È salato il conto che la pandemia di nuovo coronavirus ha presentato nel 2020 al sistema cooperativo emiliano-romagnolo: ben 94 cooperative in meno rispetto al 2019 (con il numero delle cooperative attive in regione sceso a poco meno di 4.700), con una perdita di quasi 10mila occupati e con una flessione dei lavoratori pari al 3,9%; numeri negativi che peraltro con ogni probabilità sono anche destinati a peggiorare nei prossimi mesi con la fine degli interventi statali a tutela di dipendenti e imprese.
Lo studio è stato realizzato dal direttore del Centro studi di Unioncamere Emilia-Romagna Guido Caselli assieme ai professori dell’Università di Bologna Michele Costa e Flavio Delbono e ha analizzato l’andamento della cooperazione nel periodo 2010-2018 comparato con quello delle società non cooperative.
Nello specifico, lo studio si è concentrato sul confronto della dinamica occupazionale e quella economica, misurata attraverso una selezione di indicatori desunti dai bilanci d’esercizio. Ne è emersa la natura anticiclica della cooperazione e la sua capacità di trainare l’occupazione negli anni più difficili, in particolare tra il 2012 e il 2014, periodo caratterizzato da una sostanziale stagnazione dell’economia regionale: in quel triennio, nonostante una crescita del Pil emiliano-romagnolo intorno allo zero, le cooperative hanno aumentato il proprio fatturato del 48% e l’occupazione è salita del 17%, nonostante utili fortemente negativi. Nello stesso arco temporale le società non cooperative hanno aumentato il fatturato in misura minore (15%), riducendo l’occupazione e aumentando gli utili del 500%.
Negli anni successivi, dal 2015 al 2018, caratterizzati da una crescita apprezzabile dell’economia dell’Emilia-Romagna (mediamente il Pil è aumentato dell’1,5% annuo), le cooperative hanno conseguito risultati positivi ma inferiori rispetto a quelli delle altre imprese: il fatturato è aumentato del 5% per le cooperative (ma del 19% per le imprese non cooperative), gli utili del 13% (contro il 74% delle imprese non cooperative), l’occupazione del 3% (a fronte del +13% delle imprese non cooperative).
Numeri che raccontano con chiarezza la “distintività del modello cooperativo”, la peculiarità che porta ad anteporre la tutela dei lavoratori (che, in molti casi, sono soci della cooperativa stessa) al conseguimento di utili o di incrementi di produttività. Tuttavia, secondo Unioncamere Emilia-Romagna, “la difesa del lavoro a scapito della redditività economica è sostenibile per un tempo limitato e il perdurare della crisi originata dalla pandemia rischia seriamente di indebolire le fondamenta del modello cooperativo. Analogamente alle altre imprese, la cooperazione dovrà essere virtuosa nel gestire questa fase di emergenza e, al tempo stesso, proattiva nel rilanciarsi quando sarà possibile”.
Di fronte all’aumentare delle diseguaglianze tra territori, imprese e persone, secondo gli autori dello studio, “ci aspettano anni in cui la sfida si giocherà sulla sostenibilità, sulla capacità di non separare la crescita economica dalla coesione sociale e dalla salvaguardia ambientale, sul principio della mutualità. Sono i valori che formano l’identità del modello cooperativo, il suo Dna. Sta alla cooperazione cogliere le opportunità che si apriranno quando la pandemia sarà solo un brutto ricordo”.
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Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
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