Si parla di pagine oscure, mai chiarite a proposito dei tragici fatti che segnarono la storia del confine orientale italiano all’indomani dell’8 settembre 1943 e dopo la fine della seconda guerra mondiale, nel maggio 1945. Ma la bibliografia esistente sulle foibe – “foibe” è il nome delle voragini carsiche diffuse in tutta l’area di frontiera tra Italia, Slovenia e Croazia in cui vennero precipitati i corpi di molte delle vittime – parla chiaro «a livello nazionale esistono quintali di libri, più o meno seri a disposizione di chi volesse veramente sapere», scrivono Longo e Moder in un bel libretto di alcuni anni fa, “Storia della Venezia Giulia, 1918-1998. Da Francesco Giuseppe all’incontro Fini-Violante”, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2004 .
Spesso, però, sorge il dubbio sul fatto che si voglia veramente conoscere quegli avvenimenti. L’agile libretto di Longo e Moder – cercatelo perché ne vale la pena – toglie qualsiasi alibi per cui lo consigliamo non solo a coloro che sono interessati o per diletto o per studio o per ragioni personali alla storia di quella regione di confine, ma anche, e soprattutto, a coloro che, professionisti della politica, per un confuso senso di storia condivisa (con la memoria dei post fascisti che Pupo, giustamente, definisce «un’infelice formula») dimenticano che gli infoibamenti sono innanzi tutto la conseguenza di vent’anni di regime monarco-fascista e non il tragico risultato del regime “slavo-comunista”, secondo la definizione della destra.
La data del 10 febbraio, fissata per il Giorno del ricordo (2004), coincide con il giorno in cui nel 1947 venne firmato il trattato di pace con l’Italia che prevedeva la cessione alla Jugoslavia di Zara, di Fiume e di quasi tutta l’Istria. Una coincidenza che «portava insita in sé una forzatura tutt’altro che lieve […]. Non c’è dubbio infatti – scrive lo storico Raoul Pupo nel saggio “Due vie per riconciliare il passato delle nazioni?”, “Italia contemporanea”, n. 282/2016, – che nella memoria dei profughi giuliano-dalmati la firma del trattato di pace sia sempre stata considerata come l’evento fondante della loro tragedia, mentre date alternative, che pur erano state proposte, non possedevano alcun valore simbolico riconosciuto. Ma è anche vero che quell’opzione poteva – e, nei desideri di taluno, voleva – ridare fiato a quanti, coerentemente con la tradizione nazionalista, imputavano alla “debolezza” dei governi democratici e antifascisti del secondo dopoguerra l’accettazione del “diktat” del trattato di pace e il conseguente esodo, obnubilando le responsabilità del fascismo nell’aver condotto l’Italia in guerra a fianco dei nazisti e, sempre a fianco dei nazisti, nell’aver aggredito e smembrato la Jugoslavia, che al tavolo della pace poteva quindi presentarsi tra le fila delle vittime e dei vincitori». Tutti gli storici seri non parlano di “pulizia etnica”, ma piuttosto di ragioni politiche – e di vendette nei confronti degli italiani quali rappresentanti dello Stato fascista – che collocano nella giusta (anche se drammatica) prospettiva e nel contesto storico di allora le foibe.
La data così ravvicinata della Giornata del ricordo alla Giornata della memoria della Shoah, celebrata il 27 gennaio, «sembrava fatta apposta – scrive ancora Pupo – per suscitare fraintendimenti e confusione che, puntualmente, si sono verificati, anche se in misura ridotta. Del resto, tale appunto era l’intendimento esplicito di alcune frange più radicali dell’associazionismo degli esuli, contigue all’estrema destra italiana, da tempo impegnate a presentare foibe ed esodo quali atti genocidari, bisognosi di un riconoscimento pari a quello della Shoah. Quel che lascia più perplessi, al riguardo, è non solo che una certa condiscendenza verso un’impostazione del genere fosse silenziosamente presente anche nelle associazioni più moderate della diaspora giuliano-dalmata, ma che il legislatore, pur avvertito, abbia preferito non accorgersene».
La drammaticità di quelle morti non è certo messa in discussione ma per capire, che non significa giustificare genericamente, è importante non scordare che esse furono anche il frutto della confusione che regnò in Istria, soprattutto all’indomani dell’8 settembre ’43, quando nelle file dei partigiani (italiani, sloveni e croati) si infiltrarono quelli «dell’ultima ora».
Secondo Pupo è la «debolezza culturale della destra italiana, soprattutto in campo storico,[che] ha procurato serie difficoltà ai suoi sostenitori tutte le volte in cui si è trattato di passare dalla retorica celebrativa alla riflessione storiografica, alla divulgazione di alto profilo e – soprattutto – alla costruzione di percorsi didattici».
Il libro dei due giornalisti, arricchito di un’intelligente bibliografia ragionata sull’argomento, consente una rapida, ma non superficiale, conoscenza della complessa storia della Venezia Giulia da Francesco Giuseppe all’incontro Fini-Violante al Teatro Verdi di Trieste – tradizionalmente considerato il “tempio dell’italianità giuliana” – nel marzo 1998. «Al riguardo – continua sempre Pupo – sono stati espressi giudizi assai diversi: vi è chi fra gli studiosi ha accusato con parole di fuoco la sinistra italiana di essersi venduta al nazionalismo e chi invece ha visto in quell’incontro un progresso sostanziale per la democrazia italiana».
Post scriptum
Per una panoramica generale sul problema delle violenze di massa, conosciute come “foibe giuliane” come sul dibattito storiografico e sull’uso politico della questione Raoul Pupo – nel saggio citato – suggerisce diversi titoli: Giampaolo Valdevit, Foibe. Il peso del passato, Venezia Giulia 1943-1945, Venezia, Marsilio, 1997, con saggi dello stesso Pupo, Roberto Spazzali, Nevenka Troha, Giampaolo Valdevit; Darko Dukovski, Rat i mir istarski: model povijesne prijelomnice (1943-1955), Pola, C.A.S.H., 2001; Raoul Pupo, Roberto Spazzali, Foibe, Milano, Bruno Mondadori, 2003; Elio Apih, Le foibe giuliane, Gorizia, Leg, 2010. In particolare sulle violenze della primavera del 1945: Raoul Pupo, Trieste ’45, Roma-Bari, Laterza, 2010. Per un diverso punto di vista vedi Jože Pirjevec, Foibe. Una storia d’Italia, Torino, Einaudi, 2009; Luisa Accati, Renate Cogoy (a cura di), Il perturbante nella storia. Le foibe: uno studio di psicopatologia della ricezione storica, Verona, QuiEdit, 2010. (Vedi: http://ojs.francoangeli.it/_ojs/index.php/icoa/article/view/4142>).
Vogliamo anche segnalare le riviste “Qualestoria” (di cui vanno ricordati anche i due numeri monografici 2007/1 e 2016/1 dedicati entrambi alla storiografia slovena) e “Storia contemporanea in Friuli, la prima edita dall’Istituto storico di Trieste e la seconda da quello di Udine.
Per saperne di più sui due punti di vista opposti vi consigliamo: J. Pirjevec, Foibe, Una storia d’Italia, Torino, Einaudi, 2009; cit., e Liborio Mattina, Democrazia e nazione: dibattito a Trieste tra Luciano Violante e Gianfranco Fini, Trieste, Eut, 1998.
Una storica controversa del confine orientale, non citata però nella bibliografia di Pupo, è Alessandra Kersevan, la cui produzione saggistica potete scaricarla dal sito <https://it.wikipedia.org/wiki/Alessandra_Kersevan>.
Infine anche “RS-Ricerche storiche”, la rivista di Istoreco, ha toccato il tema del confine orientale pubblicando sul n. 111/2011 con un articolo di Cristina Carpinelli scritto in ricordo di Marco Aurelio Rivelli, uno studioso del confine orientale, particolarmente attento al rapporto tra Chiesa e nazionalismo croato.
Ultimi commenti
Anche l' Ordine degli Avvocati di Reggio Emilia .
Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
Diranno, sia a sinistra che a destra, che c'è un disinteresse della politica, in particolare dei giovani, diranno che molti non votano perché pensano che, […]