Il caso di Augusto Masetti

masetti giovane

Gli anni dieci del secolo scorso furono caratterizzati da due fatti che scossero profondamente l’opinione pubblica, ebbero larga eco sui giornali, condizionarono le decisioni e la vita interna di tutti i partiti, specie quelli d’opposizione, minando la solidità del governo italiano. Mi riferisco al caso di Augusto Masetti e della guerra libica nel 1911 e alla “Settima Rossa” nel 1914.

Qui mi soffermerò sul primo dei due fatti, riservandomi di trattare in un secondo momento il secondo, che, per tanti motivi, può considerarsi una sua logica conseguenza.
La mattina del 30 ottobre 1911 il giovane muratore bolognese Augusto Masetti, classe 1888, si trova nel cortile della caserma Cialdini di Bologna, in attesa di partire con il 35° Reggimento Fanteria alla volta della Libia in guerra con l’Italia. Il ragazzo è tormentato sul da farsi e molto arrabbiato nel vedere svanire tutte le sue convinzioni pacifiste e antimilitariste. È un anarchico, che da tempo legge il foglio libertario Rompete le file”, e partecipa a tutte le manifestazioni antimilitariste, siano esse promosse dai socialisti, dagli anarchici o dai repubblicani. Quel giorno dunque, non vedendo una via di fuga praticabile, decide di reagire in modo estremo.

D’istinto spara un colpo di fucile contro il colonnello Stroppa, responsabile organizzativo della spedizione, ferendolo ad una spalla.

Arrestato immediatamente, viene perquisito e imprigionato. Interrogato, si professa anarchico e antimilitarista. L’episodio provoca clamore e solidarietà un po’ ovunque e galvanizza tutti coloro che avversano la guerra libica. In sostegno a Masetti si costituisce il “Comitato nazionale pro Masetti”, con a capo l’anarchico Armando Borghi, che vede aderire tutto l’antimilitarismo di matrice anarchica, socialista e repubblicana.

Il reato compiuto comporterebbe la pena di morte, ma il governo, vista la vasta eco provocata e considerati i possibili disordini, opta per sottoporlo alla perizia di due psichiatri. Oltre ad Augusto Saccozzi, direttore del manicomio criminale di Reggio Emilia, viene incaricato anche l’affermato dott. Pietro Petrazzani, socialista e amministratore pubblico. Petrazzani in ragione delle sue convinzioni interventiste inizia, proprio in quei giorni il suo allontanamento dal Psi e da Prampolini. Finirà per aderire al Psri di Bissolati e successivamente al fascismo, risultando il primo sindaco fascista di Reggio.
Grazie alla loro perizia, che lo definisce un “soggetto degenerato”, viene rinchiuso nel manicomio di Montelupo Fiorentino. Masetti in sostanza non ha agito in quel modo perché coerente con le sue idee anarchiche, ma in quanto soggetto malato. L’incessante attività del Comitato “Pro Masetti” anche dentro le caserme, che vede in prima fila i socialisti rivoluzionari, ma anche quelli riformisti della Cgil e del partito, fa sì che A. Masetti nel 1914 venga trasferito nell’ospedale psichiatrico di Imola, dove regna un clima a lui meno ostile. Il comitato vorrebbe che Masetti non fosse considerato un malato di mente, che potesse essere interrogato in un’aula di tribunale e che finalmente gli fosse concessa la possibilità di spiegare pubblicamente le vere ragioni del suo gesto.

In una loro assemblea provinciale del tardo autunno 1912, i giovani socialisti assumono l’impegno di protestare e di richiedere in ogni occasione la liberazione di Masetti.

La Giustizia settimanale del 4 gennaio 1914 riporta la seguente notizia: “Il 28-12-1913 venne organizzata una importante manifestazione contro il governo e i pericoli di guerra. Un corteo di oltre 10.000 persone si snodò per le vie di Reggio raggiungendo il Politeama Ariosto. Dalla loggia del teatro, interamente ricoperto da oltre 150 bandiere rosse, prese la parola, in qualità di presidente, l’on Camillo Prampolini.
Dopo l’ovazione che la folla volle riservagli, presero la parola l’on Quaglino e per gli anarchici Armando Borghi.

Egli chiese un voto a favore di Augusto Masetti e una raccolta di firme da inviare al giudice, onde evitare il suo ricovero in manicomio. Anche gli onorevoli socialisti Samoggia e Sichel, intervenuti successivamente, appoggiarono la richiesta e l’invito di Borghi passò facilmente”.

Per diversi anni le sezioni socialiste e i circoli giovanili non cessarono dunque di chiedere la sua liberazione, indicandolo come martire della libertà ed esempio di coerenza pacifista e antimilitarista.

Questa atmosfera surriscaldata è continuamente alimentata dagli articoli infuocati del direttore dell’Avanti! Benito Mussolini, dal ritorno in Italia dell’anarchico Errico Malatesta, desideroso di dar vita al “Blocco rosso” per sconfiggere i venti di guerra e, appena possibile, favorire lo scoppio della rivoluzione e, in capo repubblicano dagli articoli di Nenni sul Lucifero di Ancona.

Nel giugno del 1914 lo stesso schieramento politico costituirà l’asse portante della famosa “Settimana rossa”, che partita da Ancona si espanderà in altre regioni, specie in Emilia Romagna. Ormai non c’è più tempo; la guerra incombe e alla fine tutto cambierà.
Dopo diverse traversie tra le quali la condanna a cinque anni di confino in Sardegna, la morte, l’11 settembre 1944, del figlio ventenne Cesare, partigiano della 36° Brigata Garibaldi, sull’appennino imolese e altri ricoveri in diversi manicomi, Masetti viene prosciolto nel maggio del 1940 e subito dopo reincarcerato, tornando definitivamente in libertà il 1° maggio 1945.

Nel dopoguerra, pur restando molto vicino alle idee e ai principi anarchici, milita nel Psi e nel Psiup, battendosi sempre per l’affermazione dei suoi ideali di pace e di libertà. Muore a Imola il 3 marzo 1966 dopo essere stato investito, ironia della sorte, da una motocicletta della polizia.