La Pianura Padana affronta una condizione climatica gravemente condizionata dalle conseguenze della super-industrializzazione della seconda metà del Novecento, di uno sviluppo dell’agricoltura pesantemente avvelenata dalla chimica e dai suoi prodotti derivati e dall’esplosione della mobilità di massa su gomma basata sull’energia necessaria ai motori a scoppio.
Siamo in emergenza perenne, con tendenza all’appesantimento. Il riscaldamento del pianeta è accertato da climatologi e scienziati e gli effetti del fenomeno, in crescita rapidissima, si misurano a occhio nudo, dall’Artico ai ghiacciai alpini.
Tale consapevolezza è tanto indispensabile quanto insufficientemente radicata nella società italiana e, in particolare, nel Nord industrializzato, caratteristica che ci distingue in negativo se confrontiamo l’attenzione posta al fenomeno in larga parte del Nord Europa e persino nella vicina Baviera. Domenica si vota nel grande Land della Germania meridionale, storico bacino di voti della Csu, e i sondaggi annunciano un’affermazione a doppia cifra dei Verdi, una forza che negli ultimi anni ha saputo far prevalere al suo interno una visione più pragmatica e meno ideologica nel trasferimento delle istanze ambientaliste in sede politica, uscendo dal recinto sinistra/destra (anche qui, sovvengono le profezie di Alex Langer) e costruendo le fondamenta per un pensiero adeguato al mondo contemporaneo anche sulle altre grandi emergenze continentali: l’unità dell’Europa, i diritti civili e sociali, il forte investimento sull’educazione e la formazione, il rifiuto preventivo di ogni tentazione isolazionista e xenofoba.
Di tutto ciò in Italia non vi è traccia, ed è un limite grave che riscontriamo nella sostanziale confusione con cui si affronta – è il caso di questi giorni – il tema della qualità dell’aria e le limitazioni annunciate e più o meno imposte agli autoveicoli di vecchia generazione (ossia i più inquinanti).
Se siete nostri lettori avete seguito in tempo reale i dietrofront e i contro-dietrofront che hanno contrapposto Regione Emilia-Romagna e alcuni Comuni riguardo il divieto di circolazione dei mezzi alimentati a gasolio e classificati Euro 4. Dapprima la Regione ha voluto distinguersi dalle vicine Lombardia e Veneto (le quali hanno fermato i veicoli sino ad Euro 3) aggiungendo una categoria superiore, poi – dinanzi alle enormi proteste sollevatesi – hanno annunciato il passo indietro.
Poche ore dopo l’annuncio del governatore Bonaccini è arrivata per contro la posizione di uno dei trenta Comuni che aderiscono al piano di intervento sulla mobilità, il municipio di Reggio Emilia, che ha voluto precisare una posizione contraria: il divieto resta in vigore, almeno sino al 17 ottobre, quando il tavolo dei trenta si riunirà e si assumerà auspicabilmente una decisione condivisa.
Ora, possiamo immaginare quale tasso di sconforto finisca per colpire lo sfortunato possessore di un mezzo Euro 4. La può usare in orario diurno? Rischia una multa salatissima? Oppure di punto in bianco smette di recarsi al lavoro o a prendere i figli a scuola e cerca di svendere l’automobile? Deve acquistarne una nuova, con una spesa verosimilmente inaffrontabile e imprevista per la maggioranza delle famiglie?
Quel che si chiede alla politica, a prescindere dalle preferenze individuali, è il buon senso – e il buon senso non può che derivare da una comprensione della realtà autentica della vita quotidiana delle persone. Spesso – assai spesso – chi governa o amministra finisce per distaccarsi dal mondo reale anche a causa di un sistema legislativo-normativo abnorme che rende la Repubblica italiana unica nel pianeta (120mila tra leggi e norme, circa tre-quattro volte Germania, Francia o Regno Unito).
Prima ancora dei divieti locali e transitori, di nessuna reale efficacia, occorre una profonda e capillare educazione di noi stessi alla comprensione di cosa sia davvero questo meraviglioso pianeta nel quale ci è stato donato di esistere. Dunque il primo punto di qualsiasi agenda di un paese sviluppato non può che essere la riconversione ecologica delle attività umane e di ciò che ad esse viene correlato.
Non possiamo illuderci di convincere le persone a cambiare abitudini sulla base di una logica di divieto. Viceversa possiamo farlo modificando il punto di vista e osservandone il senso dell’opportunità. Qui diventa cruciale il ruolo della politica e delle amministrazioni. L’Italia non andrà lontano continuando ad avvelenare se stessa nella logica della divisione, dell’odio reciproco e del rancore.
Possiamo salvarci dal declino solo riprendendo a coltivare il lato migliore di noi stessi: avvertendo il senso di unità nel prenderci cura del mondo in cui viviamo, anzitutto. Dunque l’aria, l’acqua, la terra, il cibo, gli altri esseri. E coltivare il lato migliore di noi stessi significa alimentare pensieri buoni e praticare buone intenzioni. Si potrebbe iniziare da Langer, appunto, o dall’enciclica “Laudato Si'” di papa Francesco. So di interpretare opinioni già largamente diffuse nella società – eppure questa visione non è ancora abbastanza influente nel quadro politico e decisionale. Degli spettri che si aggirano per l’Europa, parafrasando il vecchio Marx, questo è senz’altro il più simpatico.
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