Il 2020 è stato il peggior anno dal dopoguerra per l’economia dell’Emilia-Romagna, e il consuntivo è ancora provvisorio perché la causa che ne è all’origine – la pandemia di nuovo coronavirus e le conseguenti misure adottate nel tentativo di limitare l’emergenza sanitaria – non è ancora stata neutralizzata: è quanto emerge dall’indagine congiunturale sull’industria manifatturiera relativa al quarto trimestre del 2020, realizzata in collaborazione tra Unioncamere Emilia-Romagna, Confindustria Emilia-Romagna e Intesa Sanpaolo.
Secondo lo studio sarà possibile quantificare i veri effetti della pandemia soltanto quando il sistema economico riprenderà il suo corso naturale. Nel frattempo l’indagine ha consentito di osservare come nel periodo preso in considerazione le conseguenze negative siano state più contenute rispetto ai trimestri precedenti, in particolare rispetto a quello aprile-giugno.
Con riferimento al comparto industriale, grazie a un’indubbia capacità di ripresa e a un pronto rimbalzo dell’attività il 2020 si è chiuso con un calo della produzione del 10,4% rispetto all’anno precedente, dunque una recessione meno grave di quella del 2009 (quando il calo fu del 14,1%). Secondo le previsioni di Prometeia nel 2021 è attesa una buona ripartenza dell’economia regionale, mentre solo nel 2022 il Pil dovrebbe tornare sui livelli del 2019.
Nell’ultimo trimestre dello scorso anno il volume della produzione delle piccole e medie imprese dell’industria in senso stretto dell’Emilia-Romagna si sono ridotto del 5% rispetto allo stesso periodo del 2019. Il valore delle vendite è diminuito del 3,6%, un dato comunque migliore in confronto al trimestre precedente (quando il calo era stato del 6,2%). Il fatturato estero ha contenuto la correzione (-1,4%), anche in questo caso facendo meglio rispetto al trimestre precedente (-4,2%).
Un elemento degno di attenzione si può individuare nel processo di acquisizione degli ordini, che sono scesi del 2% rispetto a dodici mesi prima, contro un -5,2% del trimestre precedente. Il grado di utilizzo degli impianti si è riportato a fine anno al 72,5%, indicatore non più così lontano dal livello riferito allo stesso trimestre del 2019 (quando era pari al 75,4%).
Il periodo di produzione assicurato dal portafoglio ordini è risultato pari a 9,2 settimane, dato invariato rispetto al trimestre precedente.
L’arretramento è stato evidente in tutti i settori industriali, anche se sono stati maggiormente colpiti quelli dipendenti dal mercato interno. Anche l’industria alimentare ha fatto segnare un leggero passo indietro, anche se il fatturato si è ridotto solo dello 0,9%, nonostante una flessione delle vendite anche sui mercati esteri (-1,5%). Il calo della produzione è risultato molto contenuto (-0,6%), così come la flessione degli ordini (-0,9%).
All’estremo opposto è stato il sistema moda a pagare lo scotto più pesante, come conseguenza dei cambiamenti di abitudini e comportamenti dei consumatori a fronte della pandemia: il crollo del fatturato complessivo si è accentuato (-16,5%), anche nella componente estera (-12,1%), nonostante i mercati oltre confine abbiano tenuto più di quello interno. La caduta della produzione è stata leggermente più marcata (-18,7%), ma si è alleviata la tendenza negativa del processo di acquisizione degli ordini (-14,6%).
L’altro settore molto colpito è stato quello dell’industria metallurgica e delle lavorazioni metalliche, caratterizzata da una fitta rete di piccole e medie imprese al centro di molteplici catene produttive. In questo caso il fatturato complessivo si è ridotto del 4,8%, anche grazie alla miglior tenuta di quello estero (-1,5%), mentre la produzione ha avuto un andamento negativo più marcato (-5,8%). Il processo di acquisizione degli ordini complessivi ha seguito una tendenza analoga.
Ha perso posizioni anche l’industria del legno e del mobile: la discesa del fatturato si è arrestata a -3,6%, grazie anche alla migliore tenuta – anche in questo caso – della componente estera (-1,6%), mentre è risultato più forte l’arretramento della produzione (-4,2%) e degli ordini (-4,3%).
L’aggregato delle industrie meccaniche, elettriche e dei mezzi di trasporto ha contrastato la difficile fase pandemica contenendo la tendenza negativa sia per quanto riguarda il fatturato (-2%) che la produzione (-4,3%). Positiva l’inversione di tendenza del processo di acquisizione degli ordini, che ha fatto segnare +2%.
Anche l’evoluzione congiunturale del gruppo eterogeneo delle “altre industrie” (chimica, farmaceutica, plastica e gomma e trasformazione dei minerali non metalliferi – ovvero ceramica e vetro) ha testimoniato la fase di recessione, ma con effetti meno dirompenti: il fatturato complessivo ha perso solo l’1,8%, mentre è stato tutto sommato contenuto l’arretramento della produzione (-2,8%) e degli ordini (-1,4%).
Riguardo alla dimensione d’impresa, nel quarto trimestre del 2020 la flessione è stata generalizzata, ma l’andamento congiunturale per fatturato, produzione e ordini è risultato meno grave al crescere della struttura aziendale e in particolare per le grandi imprese. La produzione è scesa di più (-10%) per le imprese minori, poi per quelle piccole (-5,4%) e per quelle medio-grandi (-3,1%).
Sulla base dei dati del Registro delle imprese, le aziende attive nell’industria in senso stretto a fine giugno erano 43.667 (pari all’11% del totale), con una diminuzione corrispondente a 543 imprese (-1,2%) rispetto all’anno precedente.
Per quanto riguarda invece la forma giuridica delle imprese, rispetto alla fine del 2019 è stato rilevato un altro aumento delle società di capitale (del 0,9%, pari a +157 unità), giunte a rappresentare il 39,6% del totale grazie all’attrattività della normativa delle società a responsabilità limitata semplificata, che di contro ha avuto un effetto negativo sulle società di persone, ridottesi sensibilmente (-377 unità, per un calo del 4,2%) – tanto che ora costituiscono solo il 19,7% del totale. Le ditte individuali hanno subìto una nuova ampia flessione (-318 unità, con un calo dell’1,8%) e sono scese a quota 39,1%. Altre forme societarie (consorzi e cooperative) rappresentano ora l’1,6% del totale (-0,7% rispetto a fine 2019).
Sul fronte occupazionale a fine settembre dello scorso anno gli addetti nell’industria manifatturiera erano 397.767, 9.979 in meno rispetto al 2019 (-2,1%). Gli scenari sotto questo aspetto sono tutti da delineare: al calo dei fatturati delle imprese si è accompagnato quello dell’occupazione: oggi leggibile nei numeri senza precedenti del ricorso alla cassa integrazione, domani, con ogni probabilità, verificabile nei licenziamenti e nelle chiusure di attività di impresa.
Le aziende, dovendo affrontare un evento negativo esterno di tale portata, hanno reagito adottando forme organizzative differenti. La risposta è stata diversificata anche in base alla dimensione: ricorso allo smart working, riduzione dell’organico, utilizzo della cassa integrazione e degli ammortizzatori sociali, stop alle assunzioni, mancato rinnovo dei contratti in scadenza.
Riguardo all’impatto della pandemia Covid-19, in base a un questionario sottoposto con l’indagine congiunturale il 43% delle imprese non ha avuto alcun riflesso sulla produzione, il 27% ha cambiato alcune modalità nel processo (dalla fase di approvvigionamento alla produzione, fino alla distribuzione), mentre il 42% ha modificato la struttura organizzativa e del personale.
Sul fronte dell’export, da sempre motore dell’economia regionale, nei primi nove mesi del 2020 le esportazioni dell’Emilia-Romagna sono diminuite del -10,6% (e del -2,9% nel terzo trimestre dell’anno, ultimo periodo disponibile). Le variazioni negative più evidenti si sono registrate nel settore dei metalli (-19,2%), nel sistema moda (-18,1%), nella meccanica (-14%); Spagna (-15%), Stati Uniti e Regno Unito (-13,5%) e Francia (-12,5%) sono stati i Paesi con la variazione negativa più ampia.
“La peculiarità di questa crisi è di essere originata da un fenomeno esterno che ha fortemente rallentato ma non interrotto il normale andamento del ciclo economico”, ha spiegato il presidente di Unioncamere Emilia-Romagna Alberto Zambianchi: “La prima reazione è stata, giustamente, quella di agire per limitare i danni e gestire l’emergenza originata dalla pandemia, che ha colpito con forza devastante larga parte del tessuto economico. In Emilia-Romagna molto è stato fatto sulla rete degli ammortizzatori e per favorire l’accesso al credito delle imprese, concordando azioni con le associazioni di categoria e agendo in forte coordinamento con la Regione, mettendo a fattore comune idee e risorse”.
È un metodo, ha sottolineato Zambianchi, “che, creata una rete mirata a gestire l’emergenza, dovrà proseguire per interconnettere azioni coerenti sia con il piano per la ripresa nazionale sia con la “vision” dell’Emilia-Romagna dei prossimi anni, ben delineata anche nel nuovo Patto per il lavoro e per il clima. Accanto alle “politiche passive”, necessarie per contenere il disagio, occorre avviare “politiche attive”, mirate ad accompagnare i nostri giovani e le nostre imprese alla ripartenza. Ci attendono mesi decisivi per il nostro futuro, c’è bisogno del contributo di idee e di competenze di tutti e di tanto lavoro. Un impegno che, tutti insieme, possiamo affrontare e realizzare con successo”.
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Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
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