Ancora ieri il premier Conte rimandava ai prossimi giorni la stesura di un piano articolato su cui impostare la fase 2 nella lotta al Coronavirus. È proprio ciò che manca oggi alla grande maggioranza degli italiani, non solo al Nord: una road map semplice ma precisa che stabilisca il ritorno alla normalità in un paese di sessanta milioni di abitanti gravato da zavorre e a un passo dal tracollo economico e sociale.
Osservavo le misure adottate in proposito nella Repubblica Ceca. Dapprima lockdown come da noi, poi, da qualche giorno, l’avvio di un calendario di riaperture tarato sull’equilibrio tra agibilità e sicurezza. Il governo di Praga ha definito in una paginetta e mezzo i criteri e le tappe della road map, e lo ha fatto senza ricorrere alla partecipazione di una molteplice platea di attori che invece ha convinto Conte (il quale oggi si trova in un abnorme conflitto di competenze, sia istituzionali sia di fresco conio quali le varie task force).
Lunedì 20 aprile i cechi hanno riaperto i mercati agricoli e la possibilità di celebrare matrimoni con dieci persone di capienza massima. Il 27 aprile toccherà ai negozi entro i 200 metri quadrati se non inseriti in centri commerciali. Lunedì 11 maggio riapriranno i negozi entro i 1.000 metri se non inseriti in centri commerciali di misura massima di 5.000 metri. Il 25 maggio potranno ripartire ristoranti, birrerie, caffetterie, parrucchieri, negozi di estetica, musei, gallerie, sale mostre. Infine lunedì 8 giugno riaprirà il resto: tutti i negozi, gli alberghi, i taxi, i teatri, i castelli, eventi culturali, sociali e sportivi entro le cinquanta persone di pubblico.
Per quanto la Repubblica Ceca sia un paese sensibilmente più piccolo dell’Italia, e sia stato colpito dal Covid-19 assai meno del nostro paese, la differenza si coglie. I cechi sanno quando e come potranno riaprire le saracinesche, esiste un programma semplice e chiaro sotto forma di calendario, è possibile fare i conti sul futuro.
In Italia no. Il governo ha fissato nel 4 maggio un termine generico di avvio della fase 2, ma ha lasciato tutti nell’incertezza. Non si sa cosa accadrà in quella fatidica data. Ogni giorno che passa aumenta il disagio in chi svolge un’attività di servizio. Potremo riaprire? Quando? A quali condizioni?
Il governo non risponde, preferendo la strada dell’ambiguità. Commercianti e professionisti brancolano nel buio. Le misure di emergenza sociale si scontrano con le lentezze della gigantesca macchina burocratica italiana. Le banche non aiutano e, dove possibile, badano ai propri conti e fanno perfino ostruzionismo.
È vero che non è tempo per le polemiche, ma è più vero ancora che le voci critiche si basano su argomenti fondati. Ogni settimana di lockdown costa all’Italia circa mezzo punto di prodotto interno lordo. Solo definendo una road map seria e precisa per le riaperture sarà possibile chiedere agli italiani altri sacrifici.
Ci siamo fermati per primi , ma riusciremo nell’impresa di ripartire per ultimi. Se ripartiremo.