La prima guerra mondiale aveva consegnato un paese stremato dai lutti, dalla miseria, dalla fragilità del governo, dalla delusione per le tante promesse non mantenute. Il desiderio di giustizia si esprimeva nelle manifestazioni di protesta, negli scioperi e nella violenza delle piazze. Anche l’occupazione delle fabbriche si era rivelata una cocente sconfitta, consegnando il campo a Mussolini. La nascita del fascismo e l’inadeguata opposizione socialista avevano aperto la strada alla marcia su Roma come conseguenza anche della scissione di Livorno del 1921 e della nascita del Partito comunista.
A quest’ultima divisione seguì poi nel 1922 quella dei riformisti di Matteotti e Turati, contrari ad aderire ai diktat di Mosca, che tanto affascinavano i massimalisti del Psi. Il loro leader Serrati venne addirittura invitato a Mosca, perché accelerasse i tempi dell’unificazione.
Quasi tutti i dirigenti del Psu, tranne Prampolini e pochi altri, erano già in esilio in Francia, dove cercavano di riorganizzare il partito e continuare la lotta al fascismo dall’estero. Fu in quel contesto che, nel 1926, accadde un fatto capace di riportare d’attualità il tema dell’unificazione dei socialisti. Solo la determinazione dei massimalisti autonomisti di Nenni riuscì a impedire l’unificazione del Psi con il PCd’I e l’adesione alla Terza Internazionale. L’appello a unificare i due partiti era partito dal quarto congresso dell’Internazionale comunista dell’ottobre 1922.
L’assassinio di Matteotti nel 1924, la fallimentare esperienza aventiniana e la reazione violenta e liberticida del fascismo imposero alle forze antifasciste e in particolare a quelle socialiste, repubblicane e democratiche, una severa riflessione sul loro rinnovamento politico e sulla strategia da adottare.
Fu in quel drammatico contesto che prese corpo un’iniziativa coraggiosa, capace di porre le premesse dell’azione politica futura. La morte di Gobetti richiamò tutti gli antifascisti a intensificare l’azione contro il fascismo in Italia e all’estero.
Nel 1926 Nenni e Rosselli, pur provenendo da un diverso itinerario politico e culturale, avvertirono l’esigenza di un profondo rinnovamento teorico del socialismo italiano. Fu così che nel marzo di quell’anno diedero vita a Milano al settimanale Il Quarto Stato (rivista socialista a difesa della libertà e della democrazia), che però uscì solo per pochi mesi, dal 27 marzo al 30 ottobre. In tutto uscirono trenta numeri, diffusi in tutte le grandi città italiane. Rosselli diede notizia dell’imminente pubblicazione della rivista nella lettera alla madre del 25 gennaio 1926.
Dopo l’invio da parte di Nenni alla direzione del partito della “lettera ai compagni”, volta a indirizzare i lavori dell’imminente congresso nazionale previsto per il mese di marzo 1926, Rosselli volle a tutti costi conoscerlo di persona, ritenendolo l’interlocutore migliore per intraprendere l’opera di rinnovamento politico del socialismo italiano. Nelle sue memorie Nenni così descriverà l’incontro che porterà alla nascita della rivista: “Una mattina sento bussare alla porta, apro e mi viene incontro un giovane sorridente, che si presenta come il professor Carlo Rosselli. In sostanza mi disse “Tu hai scritto il solo documento nuovo e valido nella letteratura antifascista. Se hai la volontà di far seguire un’azione, io questa volontà ce l’ho ed ho anche il denaro”. In una lettera dello stesso periodo Rosselli, anche per aiutare Nenni a superare le ultime perplessità, gli scrisse: “Ti avverto che farò la rivista anche da solo. Tengo sopra a ogni cosa a dare in quest’ora prova di energia, di carattere, di iniziativa. E se sarà fiasco, pazienza. Uno di più, ecco tutto. E pronti a ricominciare. Metto a disposizione dell’iniziativa i miei denari, credendo con ciò di compiere, io socialista e ricco capitalista, uno stretto dovere, di cui nessuno ha da ringraziarmi, perché è per me come una liberazione”.
A unire i due uomini, militanti l’uno nel partito unitario di Matteotti, l’altro in quello massimalista di Serrati, fu probabilmente il fatto che entrambi vivevano in prima persona le delusioni e i fallimenti politici che un tempo sembravano improbabili, che entrambi avevano un temperamento combattivo e risoluto. Simili erano le loro analisi circa le origini e il carattere del fascismo, che riprendevano e completavano la famosa definizione del fascismo di Gobetti come “l’autobiografia della nazione”. Per Rosselli il fascismo era il prodotto di tutta la nostra storia, di tutta la nostra tradizione, la logica conclusione di un lungo processo che andava lentamente maturando fin da prima della guerra”. Per Nenni il fascismo non si poteva spiegare in termini di “semplice fenomeno di classe, ma come fenomeno che trova la sua spiegazione nel complesso della vita sociale e morale del nostro paese”.
Il giornale assomigliò al gobettiano Rivoluzione Liberale, anche se in chiave necessariamente più modesta e attenta a non incorrere nella censura.
Entrambi i promotori ritenevano necessario dare vita a nuove forme di lotta al fascismo, specie dopo l’insuccesso della protesta aventiniana. A loro avviso occorreva promuovere un blocco antifascista che dai massimalisti giungesse fino a includere le forze democratiche borghesi. Gli argomenti trattati furono molteplici, così come fu eterogenea l’estrazione politica dei collaboratori. I turatiani fratelli Mondolfo, i sindacalisti riformisti Rigola e Maglione, il già anarcosindacalista Labriola, i massimalisti Morandi e Basso, i riformisti Saragat, Levi e Ascoli, il gobettiano Caramella, i salveminiani Ascarelli, Caffi, Dal Pane, i liberali Giretti, Paggi, Ferrara e Vinciguerra, furono tra i collaboratori più o meno saltuari della rivista. Nenni, da parte sua, si dedicò all’approfondimento di temi legati all’unità socialista. La necessità e l’urgenza di un’autocritica costruttiva da parte del socialismo italiano fu sostenuta con forza da Rosselli. La ripulsa del “rivoluzionarismo verboso e astratto” o del “cooperativismo e gretto riformismo”, associato al distacco dal materialismo storico, vennero da lui considerati un’impellente necessità storica. Il Quarto Stato divenne presto un punto di riferimento per gruppi di giovani antifascisti animati dal corso di economia politica tenuto da Rosselli all’università che pubblicava a Genova il periodico Pietre. L’unità tra socialisti riformisti e massimalisti doveva essere, a suo giudizio, la premessa della formazione di una Concentrazione repubblicana e socialista. Alla mentalità fatalistica, Nenni e Rosselli contrapposero l’elogio della volontà e dell’azione, l’unica strada che consentiva di non ridurre la critica degli errori passati alla sterile polemica. L’ambizione del Quarto Stato fu quella di rinnovare il socialismo e insieme di unire al proletariato i borghesi avanzati in un grande blocco antifascista.
Come purtroppo sempre è accaduto nella storia nella storia della sinistra italiana, non mancarono critiche e prese di distanza. L’Avanti! scrisse che la rivista non era stata autorizzata dalla direzione del partito, e del partito non rappresentava e non interpretava né lo spirito, né le direttive. Altre critiche vennero da Critica sociale con un articolo di Treves, ancora legato alle vecchie forme di lotta. Solo al congresso di Parigi del luglio 1930 il percorso di unificazione si compì definitivamente.
La rivista e i suoi autori, come era scontato, furono subito oggetto dell’attenzione della polizia, tanto che già il 28 aprile 1926 il commissario Messana scrisse nel suo rapporto alle autorità centrali: “Il Quarto Stato è il fulcro, l’indicatore di quella stampa clandestina che è tutta piena di libelli, di accuse, di notizie contro il regime”. Lo stesso Mussolini nel 1939 confessò al suo biografo Y. De Begnac che all’origine delle leggi eccezionali c’era il pericolo rappresentato dalla presenza di Nenni e Rosselli nel raggruppamento socialista-repubblicano. Aldo Garosci, nella sua “Vita di Carlo Rosselli”, scrisse: “Rosselli e Nenni fondando Il Quarto Stato avevano in comune l’idea, o la fantasia, di un partito socialista dell’avvenire, sufficientemente largo come base di massa per divenire la spina dorsale politica della nazione, insurrezionale in politica e interventista, riformatore in economia, alleato degli altri partiti antifascisti, repubblicano, risoluto a condurre la lotta in modo intransigente al di fuori dell’apparato dello Stato, che cominciava già a mostrare le prime in verità molto incerte linee dello stato totalitario fascista; e concepivano il loro giornale come il primo strumento di una tale formazione”.
L’ultimo numero del giornale avvenne il 30 ottobre 1926. Il giorno dopo un oscuro e mai del tutto chiarito attentato contro Mussolini a Bologna, culminato con il linciaggio di Anteo Zamboni, un ragazzo indicato come il presunto colpevole, segnò la fine d’ogni residua libertà. Tutta la stampa d’opposizione fu soppressa. Le tesi sostenute su Il Quarto Stato non andarono però disperse, anzi furono all’origine della revisione strategica operata da Gramsci quando lanciò la formula della Costituzione di un fronte antifascista operante con i partiti presenti in clandestinità, con i partiti socialisti esuli in Francia, con il movimento di “Giustizia e Libertà” di Rosselli.
Rosselli scrisse: “Sconfitti non abbiamo lo stato d’animo dei vinti, non siamo dei rassegnati, Tutt’altro. Comincia oggi la nostra vera giornata”.
Ultimi commenti
Anche l' Ordine degli Avvocati di Reggio Emilia .
Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
Diranno, sia a sinistra che a destra, che c'è un disinteresse della politica, in particolare dei giovani, diranno che molti non votano perché pensano che, […]