Il 21 gennaio 2021 il Partito comunista italiano (PCI) avrebbe compiuto cent’anni. E noi vogliamo ricordare l’anniversario in anticipo, recuperando questo “vecchio” romanzo di Giuseppe Caliceti.
Libero, il protagonista – personaggio reale? immaginario? non lo sappiamo – vive a Cavriago, piccolo centro a otto chilometri da Reggio Emilia, dov’è si svolge la storia. Libero è il distillato umano di cinquant’anni di storia d’Italia a cui si devono sommare gli anni che separano la Liberazione dal nazifascismo alla Rivoluzione russa, quel 7 novembre 1917 che accese per milioni di uomini e donne, per le “masse” operaie e contadine del pianeta, la speranza di un ribaltamento delle loro condizioni di sfruttati.
Libero è il simbolo di più generazioni che nell’ideale comunista hanno investito la loro vita ed è il simbolo di chi nella morte dell’URSS non ha visto morire gli ideali del comunismo.
Proprio da lì, dalla caduta del muro di Berlino, il 9 novembre 1989, prende le mosse il libro di Caliceti. Quando Occhetto, allora segretario del PCI, annuncerà alla Bolognina, il 14 novembre successivo, che il cambiamento del nome, dopo quasi settant’anni di storia più o meno gloriosa, non era più un tabù.
Con una prosa semplice e diretta l’autore reggiano confeziona un piccolo manuale di storia multidisciplinare: alla storia dei fatti aggiunge, grazie alla finzione letteraria, l’antropologia culturale e la psicologia per disegnare la figura di un comunista “alato” che si libra al di sopra delle rovine che il crollo dei Paesi dell’Est, prima, e l’annuncio dello scioglimento dell’URSS, poi (21 dicembre 1991), provocheranno di riflesso sul futuro del Partito comunista italiano, uno dei protagonista della storia dell’Italia repubblicana.
Il busto di Lenin – donato dalla città moldava di Bendery nell’aprile ’71 ed esposto nella piazza che porta il nome del rivoluzionario russo – rappresenta il simbolo della resistenza umana alla dissoluzione degli ideali e del crollo della casa di quegli ideali, il Partito, che su questa religione laica, il comunismo, sono stati costruiti. E Libero, autoproclamatosi custode del busto di Lenin, difende proprio questa memoria, patrimonio dei “dannati della terra”.
Intorno al Busto, e alla piazza in cui troneggia, ruota tutto il romanzo; su quella piazza e attraverso quel busto si parla di due anni (novembre 1989-dicembre 1991) che sconvolsero la sinistra comunista. Caliceti, cambiando i nomi dei reali protagonisti, inserisce un’altra vicenda che arroventò la fine dell’estate del 1990: il “Chi sa, parli!” che fece sfoderare le sciabole all’interno della sinistra e delle stesse associazioni partigiane. Fu un gioco al massacro contro la Resistenza, ma che per fortuna vide due “vincitori”: Germano Nicolini, accusato dell’omicidio don Pessina (giugno 1946), ed Egidio Baraldi, accusato dell’omicidio Mirotti (agosto 1946). Saranno riconosciuti innocenti in seguito alla revisione dei processi che erano stati celebrati alla fine degli anni ’40 del Novecento: a Perugia furono condannati e a Perugia, quasi cinquant’anni dopo, saranno assolti.
Si accenna, poi, al congresso della “Cosa”, il XX, del febbraio 1991 che sancisce la fine del Pci e la nascita del Pds; alla scissione a sinistra che darà vita, nel dicembre dello stesso anno, al Prc; ai litigi fra gli “ex coniugi” (Pds e Prc) su come gestire, per quel che riguarda Cavriago, la storica festa dell’Unità di Gorganza; alle amicizie che si ruppero…
Tutte queste vicende scuotono la piccola comunità di Cavriago, paese “rosso” per antonomasia, mettendo a nudo la crisi complessiva della sinistra che ancora oggi (e intendo 2020) fatica a ritrovare una collocazione forte fra un capitalismo globalizzato e un’idea di socialismo terribilmente sbiadita, se non addirittura tramontata.
Resta, alla fine, l’importanza del dialogo fra le generazioni.
«Per questo – Caliceti fa dire a Libero rivolto a un suo giovane compagno – era importante che dopo la sua morte e quella degli altri compagni pensionati rimanesse qualcuno a raccontare quello che era successo veramente in passato. Perché la passione, le lotte e i sacrifici di tanti uomini e tante donne che erano morte per un mondo migliore, più giusto, non potevano essere buttati al vento e ricominciare ogni volta da capo. Dovevano rimanere. Dovevano sopravvivere nella testa e nel cuore dei più giovani. Quello era il senso della vita: essere utile a chi veniva dopo».
Per i tempi cupi e bui che sarebbero sicuramente venuti dopo la stagione della speranza, per Libero il dovere verso le nuove generazioni era quello di “non dimenticarsi mai”.
Giuseppe Caliceti, Il busto di Lenin, Sironi, 2004, pp. 150, 6,99 euro (disponibile solo e-book), recensione di Glauco Bertani.
Colonna sonora
INNO DELL’UNIONE SOVIETICA (URSS)
TINA TURNER, We Don’t Need Another Hero
EDOARDO BENNATO, L’Isola Che Non C’è
IVAN GRAZIANI, Lugano Addio Live
Grazie Glauco. G