Il dualismo Conte-Renzi si è preso la scena mediatica perché odora di sangue: o la va o la spacca, uno trionferà e l’altro finirà nella polvere, tutto molto adatto a una narrazione pop. Della posta in gioco invece si parla solo di striscio perché l’argomento è complesso, arido e richiede impegno e qualche studio. Niente di che, in fondo: ma chi si prendesse la briga di comprendere ciò che stiamo inviando a Bruxelles per giustificare trasferimenti nell’ordine dei duecento miliardi di euro, in verità pochissimi, ne resterebbe certamente impressionato. Perché il Recovery Plan italiano non è altro che una lista della spesa con qualche sottotitolo, un po’ come una scaletta del dj della nostra giovinezza o le slide di un qualsivoglia oratore a contratto.
Questo dovrebbe inquietarci e non altro. L’odio riversato sul povero Renzi – se l’è cercata, ammettiamolo – tracima dai social alimentato dal solito plotone giustizialista cui sciaguratamente quel che resta del Pd porta acqua da tempo. Ma è odio tribale, da piazzale Loreto, senza senno e senza progetto. Sgombriamo il campo da Renzi, mettiamo che si trovi un’altra maggioranza e Conte possa andare avanti. Avanti sì, ma dove?
Duecento miliardi sono una cifra inimmaginabile per un paese delle nostre dimensioni. Non c’è niente di paragonabile nella storia repubblicana, salvo il piano Marshall. Domanda. Sulla base delle precedenti esperienze, ma in fondo anche di quelle attuali, dobbiamo chiederci: saremo in grado di spenderli bene, laddove per bene si intenda il finanziamento di azioni con prospettiva di nuovo sviluppo, qualità di imprese e lavoro, benessere? Soprattutto: chi lo potrà fare al meglio, per conto nostro?
Sinora abbiamo visto solo fuffa e mancette. La fuffa si è configurata nelle passerelle istituzionali del tipo vacanzina a Villa Pamphili, assai ben frequentata e del tutto inutile, o nel gruppo Colao, un think-tank di menti eccelse la cui produzione intellettuale è finita in un cassetto dell’ufficio delle cose perdute. Le mancette invece sono l’unica risposta del governo al crollo di interi settori dell’economia nazionale in seguito alle restrizioni causa Covid. Mancette tanto dispendiose per le casse pubbliche quanto prive di utilità concreta: provate a chiedere a un ristoratore, o a una partita Iva, o a un piccolo imprenditore se i ristori (quando arrivano) possano davvero dare da mangiare a chi si è trovato nei guai dalla sera alla mattina. Per non dire dei 50 milioni di cartelle esattoriali in arrivo (cinquanta milioni!) o della ripresa del saldo delle rate di mutui e prestiti bancari.
Finisca come deve finire in Parlamento, chiunque si debba occupare di salvare l’Italia dal disastro, e non solo dal declino, il punto riguarda la sostenibilità del debito su scala globale e la vera, drastica, profonda capacità di ridefinire l’assetto del Paese con riforme serie ed efficaci. Occorre uno spirito unitario, quasi risorgimentale. Esiste? Niente affatto.
La politica si nutre sempre più di narcisismi, esaltati da uso e abuso di socialmedia. Sdraiati sul divano, si passa dal dibattito alle Camere al Grande Fratello Vip come fossero episodi della stessa serie. Agli occhi di chi ci guarda rendiamo la scena di sempre: gli italiani litigano, al punto di far cadere un governo in piena pandemia, e poi cercano di cavarsela da furbi, reclamando fondi che neppure sanno come spendere.
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Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
Diranno, sia a sinistra che a destra, che c'è un disinteresse della politica, in particolare dei giovani, diranno che molti non votano perché pensano che, […]
Continuano gli straordinari successi elettorali dell'area riformista liberaldemocratica,che si ostina a schierarsi sempre indissolubilmente nel campo del centrosinistra senza mai beccare nemmeno un consigliere,cosi' come […]