Con nessun rischio ma con la stessa logica dei giornalisti “embendded”, cioè “incorporati”, in questo caso, non nell’esercito ma nelle forze dell’ordine reggiane (carabinieri, polizia di Stato e polizia locale), abbiamo fatto, alcuni giorni fa, una passeggiata pomeridiana nella zona della stazione storica di Reggio Emilia.
Era arrivato in redazione un comunicato della prefettura che ci informava di «un’operazione straordinaria di controllo del territorio, definita “ad alto impatto”, presso la stazione storica di Reggio Emilia e le aree limitrofe». Noi, un po’ indisciplinati, ci siamo presentati in anticipo sull’orario comunicato. Abbiamo visto schierarsi nel piazzale antistante la stazione, lato est, due auto della polizia locale, da una della quali è sceso un cane antidroga, e una della polizia di Stato. Un’ora dopo circa, siamo ritornati per seguire passo passo, insieme ad altri colleghi della stampa cittadina, un drappello delle forze dell’ordine composto da due carabinieri, tre poliziotti e due della polizia locale con il cane fiuta droga. Siamo passati sotto i portici di piazzale Marconi, lato hotel San Marco, curiosamente deserto quando si sa che normalmente è popolato da un numeroso gruppo di ragazzi soprattutto di origini maghrebine. Abbiamo proseguito per viale 4 Novembre angolo piazzale Marconi, dove c’è il bar Marconi. All’esterno non c’era nessuno dei soliti frequentatori, mentre all’interno qualche avventore preso dai fatti propri osservava, però, sottecchi, il cane antidroga che fiutava ogni angolo del locale, non trovando nulla di sospetto.
Su un gradino esterno del bar, delle vetrate che danno su piazzale Marconi, un improvvisato giaciglio, vuoto pure quello. Alcune bottiglie testimoniavano che qualcuno, forse fino a poco prima, ci stava.
Il drappello delle forze dell’ordine, con noi a ruota, ha attraversato, con il cane che annusava ovunque, per andare sulla parte opposta del viale della stazione. Qualche passante frettoloso ci osservava. Niente da segnalare. Poi abbiamo imboccato via monsignore Tondelli, oltrepassato l’incrocio con via don Giovanni Alai, siamo entrati a destra, nel cantiere di un palazzo in ristrutturazione super bonus. A parte i rifiuti, nulla da segnalare. Il drappello è uscito da un cancello che si apre su via Alai, dove spesso si vedono cumuli di rifiuti abbandonati. Abbiamo proseguito per via Eritrea svoltando verso piazzale Marconi. Sotto il portico una ragazzo nero vestito con abiti logori, con lo sguardo vacuo stava appoggiato a una colonna. Una bottiglietta di plastica appoggiata a suoi piedi, probabilmente contenente del vino. Richiesta di documenti inevitabile.
Alla fine è stata un’operazione telefonata come certi tiri che il portiere non ha nessuna difficoltà a parare, sa dove il pallone andrà. Se la leggiamo con l’ottimismo della volontà non c’è dubbio che, forse, è un segnale della maggior attenzione riservata a un luogo degradato e depresso. La mancanza della luce del sole, poi, peggiorava la realtà, che avvolge anche altre parti della città tanto in periferia quanto in centro storico.
Però, bisogna fare i conti con il pessimismo della ragione, che domanda: in un luogo in cui si smercia crack e altre droghe pesanti e “leggere” quale può essere il risultato di un’operazione “telefonata”?. Siamo passati il pomeriggio successivo in stazione e non abbiamo visto una sola auto della polizia o dei carabinieri o della polizia locale.
E i vari portici ispezionati il giorno prima erano di nuovo popolati e si può immaginare da chi.
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