Dopo l’incontro con Michael Kenna e la sua ricca esposizione fotografica, la Galleria 13 annuncia l’apertura della mostra “Vasco Ascolini – Tesoro Vivente” che affronterà un tema molto particolare del lavoro dell’artista Vasco Ascolini, tornando indietro agli anni ‘70/’80 quando era fotografo ufficiale del Teatro Romolo Valli e ha avuto modo di fotografare le performance dei migliori artisti del periodo.
Con il suo inconfondibile bianco e nero Vasco Ascolini ci porta all’interno delle arti del teatro tradizionale giapponese, in particolare del Kabuki e dei suoi segreti, passando poi per le incredibili performance di Marcel Marceau e le provocanti messe in scena al limite del grottesco di Lindsay Kemp.
La mostra inaugurerà sabato 29 aprile alle ore 17:30 presso la sede della Galleria 13 e sarà visitabile gratuitamente fino al 27 maggio 2023.
Tra i vari progetti della sua lunga carriera iniziata nel 1965, abbiamo deciso di mostrare una particolare serie di fotografie dedicate principalmente al teatro Kabuki ma non solo, scattate dal 1979 al 1983.
Nel 1981, durante i suoi anni d’oro, il teatro Romolo Valli ospitò una delle più famose compagnie di teatro tradizionale giapponese che fece tappa a Reggio Emilia durante il suo tour mondiale e mise in scena il Kabuki oltre a varie arti giapponesi come il teatro delle marionette.
Ascolini fu uno dei pochi privilegiati ad avere il permesso dal capo della compagnia, Il famoso Ennosuke terzo, di poter scattare fotografie dalla preparazione degli attori nei camerini, alle prove dove potè salire sul palco per immortalare gli artisti dalla distanza di pochi metri, fino allo spettacolo vero e proprio.
In particolare fotografò uno dei personaggi più caratteristici del Kabuki, l’Onnagata, un attore maschio che interpretava il ruolo femminile poichè nel kabuki tradizionale è vietato alle donne di esibirsi.
“Chiesi il permesso di fotografare da vicino l’Onnagata e lo ottenni: l’Onnagata che recitava a Reggio era il quarto o il quinto della sua famiglia che interpretava quel ruolo, tramandato di generazione in generazione. Mi recai nel suo camerino; lui arrivò e subito notai che non aveva nulla di ambiguo, anzi sul suo viso si intravedeva una barba scura anche se appena rasata. Entrò la truccatrice, lui si tirò giù il kimono e lei cominciò a stendergli la biacca bianca sul volto e sulla nuca; terminato il suo compito, lei uscì. A poca distanza da lui, che se ne stava davanti a uno specchio, misi l’obbiettivo di 85 mm, e mentre lui si truccava e iniziava la metamorfosi da uomo a donna, io lo fotografai ripetutamente. Nel tipo di inquadratura volli restituire l’ambiguità che noi associamo alla figura femminile, che sempre ci intriga e spesso ci sfugge.”
Oltre a questi scatti suggestivi del teatro tradizionale giapponese, sono esposte in mostra anche una serie di fotografie che ritraggono due famosi mimi e attori di teatro, Marcel Marceau e Lindsay Kemp con la sua compagnia Flowers. Marceau era già uno dei mimi più famosi del mondo quando fu invitato dal governo giapponese a ritirare un prestigioso premio chiamato “Tesoro Vivente”, che i giapponesi riservano solo ai migliori artisti. Marcel Marceau si recò in Giappone per ritirare il premio e lì restò per un anno imparando e approfondendo l’arte del Kabuki.
Quando tornò a Parigi il suo personaggio mutò e aggiunse la sua famosa maschera bianca; fece moltissimi stage per mimi includendo quello che aveva imparato nell’estremo oriente. A questi laboratori parigini partecipò anche Lindsay Kemp che nel 1979 si esibì a Reggio Emilia con la sua compagnia e mise in scena lo spettacolo Flowers, che con le sue grottesche maschere bianche e la violenta provocazione della messa in scena quasi pornografica scatenarono polemiche e indignazione pubblica.
Il teatro fu sicuramente il punto di svolta della carriera fotografica di Vasco Ascolini. Il nero profondo della sala, i fari che illuminano la scena, senza luci di supporto e tempi di posa ciò che importava era catturare l’attimo in cui il teatrante entrava ed usciva dalle ombre, come se la luce della sua arte riuscisse a farlo emergere dalle tenebre anche se per brevi istanti rubati. Il nero totale delle sue fotografie obbliga il nostro sguardo a concentrarsi sulle figure in luce, un volto bianco, un braccio arcato, una maschera, escludendo particolari oziosi e lasciando solo la verità.
Il contrasto tra chiaro e scuro è assoluto e definito, esiste solo ciò che la luce ci rivela e ciò che è totalmente cancellato dal nero intenso che noi non percepiamo come un abisso ma come l’enigma di cose che sono state sottratte al nostro sguardo. Il nero diventa il sipario dietro il quale Ascolini nasconde quello che non vuole mostrarci lasciando la nostra immaginazione libera di ricreare ciò che non possiamo vedere oltre ciò che lui ha messo in luce.
“Scattare foto a teatro non è semplice: tra la luce che è sull’attore e quella che è sul decoro, sul contesto, ci sono molti diaframmi di differenza. Dovevo dunque fare una scelta, e io ho scelto l’uomo, e la luce che è su di lui. E quando andavo in camera oscura a stampare, anche mediante l’utilizzo di una carta di contrasto, quella che era semplicemente ombra diventava un nero intenso. Non volevo che si scorgessero cose dentro il nero, volevo invece dei neri dentro i quali non si potesse vedere niente, dai quali uscisse questa figura, con il buio che diventa una forma impenetrabile”.
C’è un fotografo italiano che è l’unico, insieme a Cartier-Bresson, di cui abbia scritto sir Ernst H. Gombrich, così come Jacques Le Goff, le cui fotografie sono state definite “eccezionali” da F. Zeri, di cui A. C. Quintavalle ha collegato la poetica alla messa in scena della scultura e ai gesti del teatro Kabuki, che è Cavaliere delle Arti e delle Lettere della Repubblica Francese.
Si chiama Vasco Ascolini ed è nato a Reggio Emilia nel 1937. Negli anni Settanta, Ascolini partecipa alle lezioni di Quintavalle dell’università di Parma, dove si riscopre la fotografia americana e gravitano personaggi come Mulas, Veronesi, Chiaramonte, Ghirri.
La svolta della sua carriera inizia quando negli viene assunto come fotografo ufficale del Teatro Municipale Romolo Valli che in quel periodo stava vivendo un periodo di grande splendore ospitando grandi compagnie teatrali e di danza da tutto il mondo. Inizia così un percorso di confronto tra il linguaggio della fotografia e quello del teatro.
Le fotografie di uno spettacolo di Lindsay Kemp del 1979 sono definite da H. Gernsheim «superbly expressionist», e sono il punto di partenza di uno stile del tutto personale e inconfondibile.
Luogo:
Galleria13
Via Roma 34/b, Reggio Emilia
Inaugurazione:
Sabato 28 aprile 2023
ore 17:30 – 20:00
Orari d’apertura:
Lunedì chiuso
Martedì 10:00-13:00, 16:00 – 19:30
Mercoledì 10:00-13:00, 16:00 – 19:30
Giovedì 10:00-13:00, pomeriggio chiuso
Venerdì 10:00-13:00, 16:00 – 19:30
Sabato 10:00-13:00, 16:00 – 19:30
Domenica chiuso
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Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
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