Femminismo socialista tra Ottocento e Novecento

donne_lavoro_fabbrica

 

“Non illudiamoci donne, di amici disposti a fare del platonismo democratico e del femminismo ad usum delphini ne abbiamo intorno un maremagna; ma di fedeli là dove finisce l’accademia e comincia la battaglia ne restano pochi…Confidiamo in noi e destiamoci alla coscienza di quella forza civile che realmente siamo”.
A. Zanetta 1908

La questione femminile in Italia nasce alla fine dell’Ottocento e percorre tutto il Novecento. Particolarmente interessante fu ciò che accadde nel primo quindicennio del Novecento, sia per i temi affrontati, che per il valore delle protagoniste.
Contemporaneamente alla nascita del Partito Socialista nel 1892 e all’inizio della industrializzazione del paese, si sviluppa una corrente di pensiero e di azione, che intende affrontare e porre rimedio al problema dello sfruttamento e della marginalizzazione sociale e politica delle donne.

La prima esperienza fu quella della “Lega per la tutela degli interessi femminili”, nata a Milano nel 1893 e guidata da Linda Malnati.

I temi affrontati in campo socialista, specialmente da Anna Kuliscioff, furono lo sfruttamento del lavoro femminile e dei bambini, le garanzie dagli infortuni, i miglioramenti economici, la tutela della maternità, oltre al diritto di voto. Persona colta e di grande temperamento, Anna Kuliscioff fu tra le prime donne, insieme a Maria Montessori, a esercitare l’attività di medico, venendo chiamata la “dottora dei poveri”. S’impegnò nelle lotte per la limitazione dell’orario di lavoro delle donne e dei fanciulli, elaborò una proposta di legge a tutela del lavoro minorile e femminile che venne approvata nel 1902, detta legge Carnaro, dal nome del Ministro delle Finanze che la presentò e la sostenne a livello governativo.
Si spese per l’introduzione del divorzio, sulla base della proposta di legge già presentata dal socialista on. Borciani di Reggio Emilia.

Delle conferenze tenute presso la Biblioteca popolare di Reggio da Adalgisa Fochi, la madre dell’anarchico Camillo Berneri, grande successo riscossero quelle sui fanciulli infelici e Figli di nessuno, sull’Eredità in relazione alle responsabilità dei genitori e quella su Esaminandi ed Esaminatori.

Contemporaneamente si sviluppò un altro filone femminista, considerato di matrice più borghese, capeggiato da Anna Maria Mozzoni, un’altra socialista, che mise l’accento soprattutto su temi inerenti la famiglia, la società e i rapporti tra i sessi. Per diffondere e approfondire quei temi nacquero sezioni e circoli femminili, furono organizzati manifestazioni e conferenze, furono tenuti spettacoli teatrali in tutta Italia. L’intento di tanta attività fu quello di coinvolgere il maggior numero possibile di donne dell’industria e della campagna.

Grande importanza rivestirono anche le scuole serali, i corsi per l’educazione dell’infanzia, la conoscenza dei problemi, anche medici, legati alla maternità, le lezioni sui diritti civili delle donne e la necessità di organizzarsi in Leghe, circoli o associazioni.
Fu la sindacalista Argentina Altobelli ad occuparsi prevalentemente della triste condizione delle contadine spesso sfruttate e sottopagate, il cui apporto all’economia famigliare risultò tuttavia sempre decisivo.
Il tema dei temi, sul quale tutte convennero, rimase comunque la conquista del diritto di voto, come ribadì con forza il Congresso nazionale delle donne italiane del 1908, convocato a Roma.

Le più note attiviste furono Paolina Schiff, Carlotta Clerici, Linda Malnati, Teresa Labriola, Bice Cammeo, Anna Kuliscioff, Tilde Momigliano, Angelica Balabanoff, Argentina Altobelli, Regina Terruzzi. Margherita Sarfatti.
La guerra di Libia e poi la prima guerra mondiale allontaneranno definitivamente alcune di loro, convinte interventiste, dal resto del movimento femminista rimasto su posizioni pacifiste e neutraliste.

Gli abbandoni più clamorosi e dolorosi furono quelli della Sarfatti, divenuta l’amante e la consigliere più influente di Mussolini, della Terruzzi e della Brebbia.
Quelle donne, in gran parte maestre, seppero organizzare una infinità di iniziative, di convegni, di assemblee, di corsi gratuiti per combattere la piaga dell’analfabetismo, fondarono giornali e riviste, affrontarono serrati confronti –scontri con i compagni di partito.

La posizione sostenuta dalla Kuliscioff sulla necessità del suffragio universale esteso alle donne apparve talmente intransigente da non convincere nemmeno i compagni di partito, compreso il suo compagno di vita Turati.
Gli uomini erano ancora legati alla vecchia convinzione che le donne, giudicate impreparate, politicamente immature e facilmente influenzabili, sarebbero state facilmente convinte dalle forze clerico- moderate a non fidarsi dei socialisti e quindi a non votare per loro.

Pur dichiarandosi convinti sostenitori delle istanze delle donne, ritenevano dunque prematuro e potenzialmente dannoso alla causa socialista l’approvazione del suffragio universale aperto alle donne. Bisognava aspettare che le condizioni materiali e culturali maturassero.
I giovani socialisti invece si dissero convinti della necessità d’estendere il diritto di voto alle donne, sapendo legare quell’obbiettivo alle loro posizioni antimilitariste. Chi più delle madri e delle mogli, infatti, si poteva opporre al massacro dei propri figli e mariti chiamati in guerra?

Oltre al periodico Unione femminile di Bice Cammeo uscito dal 1901 al 1905 e al settimanale L’Alleanza, con sottotitolo “Rassegna sociale, politica, femminista per l’istruzione civile della donna”, uscito dal 1906 al 19011 e a tanti altri simili giornali comparsi un po’ ovunque, fu la rivista quindicinale di Anna Kuliscioff La difesa delle lavoratrici a rappresentare fin dal 1912 e per 23 anni il punto di riferimento insostituibile delle donne impegnate in politica e nel sociale.

Sempre nel 1912 si svolse il primo congresso delle donne socialiste, che sancì la nascita della “Unione nazionale delle donne socialiste”.

Operaie della Imperial e dell’Alfa Romeo ad una manifestazione sindacale davanti alla sede dell’Assolombarda in Via Pantano, Milano, 2 settembre 1975

Lo stesso Convegno nazionale delle donne socialiste del 1917, svolto a Reggio Emilia, sul tema “Le donne e il lavoro”, e presieduto da Tilde Momigliano, chiuse i sui lavori con un invito pressante perché il partito ribadisse la priorità della conquista del voto alle donne.
Con l’avvento del fascismo e della guerra tutto si congelò e le donne italiane dovettero attendere il 1946 per poter esprimere il loro primo voto.

 




Non ci sono commenti

Partecipa anche tu