A inizio luglio il portavoce reggiano di Fratelli d’Italia Marco Eboli aveva scritto una lettera al ministro del lavoro e delle politiche sociali Andrea Orlando sui fatti del 7 luglio 1960 a Reggio: quel giorno di 61 anni fa cinque operai reggiani – Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, Marino Serri e Afro Tondelli – furono uccisi dalle forze dell’ordine durante una manifestazione sindacale.
Nella lettera Eboli, figlio di un poliziotto in servizio in piazza quel giorno, aveva scritto di sentire “il dovere morale di far sentire la voce dei familiari dei poliziotti, criminalizzati a lungo dalla sinistra, perché per cercare la verità bisogna sentire le due campane”.
All’indomani dell’anniversario del 7 luglio lo stesso Eboli, che si trovava a Roma per condividere con l’amico Gianni Alemanno l’attesa della sentenza che ha poi assolto l’ex sindaco di Roma dall’accusa di corruzione, mentre era a cena in un ristorante del centro si è accorto della casuale presenza nel locale dello stesso ministro Orlando.
“Mi sono accertato con l’amico ristoratore che fosse proprio lui”, ha spiegato Eboli, che dopo aver avuto conferma si è avvicinato e si è presentato: “Udito il mio nome – ha ricordato Eboli – il ministro ha manifestato di sapere chi fossi, probabilmente perché messo a conoscenza della mia lettera. Ci siamo confrontati sui fatti del 7 luglio, rimanendo ovviamente ciascuno con le proprie convinzioni, ma con molto garbo e rispetto reciproco. Penso che la casualità di questo incontro possa far riflettere chi, nonostante i miei ripetuti inviti, a Reggio, rifiuta di partecipare a un incontro privato tra persone che da quei tragici fatti hanno avuto, in famiglia, lutti o sofferenza”.
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Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
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