Editoriale. Lo sfacelo sociale che ci attende

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Mi sono sempre chiesto perché Reggio Emilia e la Regione abbiano a suo tempo deciso di investire decine di milioni di euro per creare una super struttura dedicata alla maternità e infanzia in un contesto demografico in calo e dinanzi a un’emergenza drammatica di assistenza agli anziani. Intendiamoci: provo massima stima verso chi con donazioni e impegno costante ha inventato e supportato negli anni il progetto Mire, maternità e infanzia, che sta prendendo corpo accanto al Core. La capacità di mobilitazione e la grande generosità dei reggiani fanno scuola quando si tratta di solidarietà in nome del bene comune. Dunque, applausi.

La mia è solo una riflessione da non addetto ai lavori. Osservo il dato demografico italiano, il più basso d’Europa, e le previsioni secondo cui nel 2050 la popolazione italiana scenderà a 54 milioni di persone, contro i 59 milioni attuali, e perfino a 45 milioni nel 2080, qualora non si inverta il tasso di procreazione.
Nel contempo, stante i progressi della medicina e della scienza, gli italiani sono sempre più longevi, il che è certamente positivo, ma alla vita che si allunga corrisponde un elevato tasso di cronicizzazione delle malattie. In sintesi: si muore più tardi ma ci si ammala prima. E nel frattempo che si fa?
La devastazione della sanità pubblica è a mio parere una delle responsabilità più gravi della classe politica italiana, di qualsiasi parte. Scelte irresponsabili dei governi che si sono susseguiti negli ultimi decenni e incapacità (o peggio) delle Regioni cui è assegnata la gestione della salute. Abbiamo gettato cifre folli per assurdi superbonus edilizi e mancette a fondo perduto senza alcuna consapevolezza del mostruoso debito pubblico che ci obbliga a vivere sotto una spada di Damocle permanente.
Intanto marciamo con gli occhi bendati verso lo sfacelo sociale che inevitabilmente ci attende. Oggi i nostri anziani (e i malati cronici, e gli invalidi) vengono parcheggiati in istituti di cura e assistenza dai costi insostenibili per la maggioranza degli eredi o di chi si occupa di loro. Il pubblico non è in grado di sostenere la domanda, che pure è destinata a crescere velocemente con l’invecchiamento delle generazioni cosiddette boomer.
Dove finiranno i sempre più numerosi ottantenni, novantenni, centenari e anche più? Chi si occuperà di loro? Chi finanzierà la loro assistenza? Non certo i redditi delle nuove generazioni, ormai in larga parte privi di versamenti previdenziali in grado di assicurare un minimo di tutela per il futuro. Il risparmio dei nonni è in rapida via di esaurimento.
A queste domande non vedo risposte dalla politica. Tutti conoscono la situazione, e sanno bene cosa attende il paese in mancanza di inversione della rotta. Ma si sa che la politica vive di promesse e di facili consensi. Il governo ha definito un piano per la riduzione dei tempi delle prestazioni ospedaliere, già oggi a livelli disumani, ma lo ha fatto senza mettere un euro a bilancio. L’autonomia differenziata non potrà che alimentare la distanza tra le regioni del Nord e il resto della penisola. E le domande iniziali rimangono inevase: che fine faranno decine di milioni di anziani privati di cure e assistenza? Esiste un piano per i prossimi anni? O si salveranno solo i ricchi? Se avessi vent’anni cercherei un futuro all’estero. L’epica del patriottismo non fa per me. Cantava Gaber: “non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono”. In ogni caso, viva il Mire.



Ci sono 2 commenti

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  1. Giuseppe Bonacini

    Caro Direttore
    Lo sfacelo che lei segnala è già ben visibile nel nostro crinale. Nell’Italia più vecchia d’Europa i comuni di Ventasso e Villaminozzo e Vetto hanno indicatori demografici da record in fatto di denatalità e numero di anziani. In quei comuni l’albero delle età (rappresentazione grafica della popolazione per classi di età) è ormai capovolto. Una mia elaborazione sui redditi della popolazione provinciale (dati Ministero delle Finanze) conferma il declino costante del crinale coi comuni citati sempre in fondo alla classifica della nostra provincia. Poiché non c’è lavoro i (pochi) giovani vanno a cercarlo altrove e la spirale del declino è inarrestabile. Difficile trovare ascolto quando si approfondiscono questi temi! . La voragine nei conti dello stato non lascia scampo e il conto lo stanno pagando le popolazioni deboli e senza voce. Se poi il peso elettorale che era del 14% nel censimento del 1950 scende, oggi, al 6% il riequilibrio territoriale appare un sogno sempre più lontano. Spero di essere smentito ma dubito che nella corsa alle regionali questo tema (riguarda il crinale di tutta la nostra regione!) trovi spazio nei programmi degli aspiranti Governatori.


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