Editoriale. La rivolta di Landini

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Negli anni bui della violenza politica in Italia, in particolare durante gli anni Settanta, la Cgil rappresentò un bersaglio e un baluardo a difesa delle istituzioni democratiche contro l’estremismo rivoluzionario che mieteva ogni giorno vittime innocenti. Basti citare l’esempio della tragica fine di Guido Rossa, sindacalista, assassinato dalle Brigate rosse a Genova: allora fu chiaro da quali parti stessero la difesa della democrazia e il delirante criminale assalto portato in nome del comunismo da una banda di sciagurati, tra i quali un buon numero di reggiani.

Ad ascoltare oggi il segretario nazionale della Cgil mentre sbraita l’urgenza di una “rivolta sociale” in Italia non vengono i brividi: Landini non è credibile con un mitra in mano, non è della generazione Gallinari e compagni, non fa paura a nessuno. A Reggio lo conosciamo: negli studi si è fermato alla terza media, porta la cravatta rossa per evitare equivoci, ha combattuto Marchionne quando questi provava a salvare la Fiat e non ha detto una parola da quando Elkann ha comprato Repubblica, fosse mai che si disturbasse un padrone tanto aperto e progressista. Verrebbe da chiedergli: ma Landini, se sei così indulgente con gli Agnelli, la rivolta sociale contro chi la fai?




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