Editoriale. Dove sono i cristiani

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Affronto volentieri l’impopolarità e mi chiedo: dove sono i cristiani, anzitutto i cattolici, dinanzi alla riduzione festaiolo-iperconsumista di un rito commerciale e pagano, di origini celtiche ma cresciuto in due secoli negli Usa, che ha sostituito il senso della fede più ingenua, per chi ce l’ha, e vorrebbe perlomeno riflettere sulla memoria dei grandi uomini che da duemila anni portano avanti questo corpaccione della cosiddetta Chiesa universale?

Forse non li vedo, forse frequento altri cenacoli. Ma chiunque appartenga alla mia generazione e a quelle precedenti, se non altro i sopravvissuti alla vacua dogmatica nell’ateismo e del materialismo storico pure da queste parti sfortunatamente assai diffuso, ha bene ancora in mente pratiche e dottrine di una fede tanto semplice quanto intimamente vera. Non mi rivolgo alle gerarchie ecclesiastiche, bensì a me stesso.

Come posso ridurre all’ambiguo concetto di secolarizzazione questo becerume casinista che niente insegna ai più giovani e ne confonde il dialogo interiore? Non credo sia necessario rivolgersi a Karl Barth per stabilire l’alterità assoluta tra quel che è di Dio e quel che è di Cesare. Ma esiste ancora un prete, un diacono, una signora religiosa che va a messa ogni mattina capace di portare senza timidezza quel messaggio rivoluzionario arrivato fin qui, e regolarmente osteggiato dal cosiddetto mainstream? O aspettiamo il Black Friday come Natale anticipato?




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