Domenica delle Palme, Anno B – 25 marzo 2018
Passione del Signore secondo Marco (Mc 14,1 – 15,47)
“Gesù disse loro: «Tutti rimarrete scandalizzati» (Marco 14,27). Allora tutti lo abbandonarono e fuggirono (14,50). Tutti sentenziarono che era reo di morte (14,64).
Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Ecco, chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere». Ma Gesù, dando un forte grido, spirò. Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio» (15,33-39)".
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“Tutti”, “tutti”: il racconto della passione di Gesù secondo Marco rappresenta con evidenza impressionante la frase di san Paolo: “Uno è morto per tutti” (2Cor 5,14). In effetti, tutti tradiscono: i discepoli fuggono, Pietro dice di non conoscerlo, i capi del popolo rifiutano di riconoscere colui che le Scritture avevano predetto.
Pilato per viltà viene meno alla sua responsabilità di giudice, i soldati prevaricano, le folle e persino i compagni di supplizio lo insultano. Ma la solitudine dell’Uno diviene atroce quando persino il Dio dell’Alleanza, il Padre, tace.
Non è un paradosso che il centurione, un pagano, avendolo visto morire in quel modo, dica: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio”. Il centurione coglie l’enormità dell’evento: su quell’uomo si addensa e piomba tutto il male del mondo: è l’assolutezza di questo male che lo rende l’Unico.
Tutti sono responsabili, ma tutti sono in qualche modo legati a lui; nessuno può dire “Io non c’entro”, ma nessuno può pensare che quella morte non squarci anche per lui il velo, non apra anche per lui una possibilità nuova, il perdono, l’accesso alla verità e all’amore.
Proprio nel momento nel quale le ferree leggi dell’egoismo, della viltà e della violenza sembrano trionfare, quella morte così inerme, quella consegna così completa, quel silenzio che assorbe in sé la malvagità del mondo e che solo nell’ultimo istante si fa grido: “Dio mio…” – in quel “mio” c’è l’affermazione estrema della fedeltà – in quel momento e per quel grido ogni uomo si rende conto della propria dignità: per me, per ciascuno di noi, questo è avvenuto.
La Pasqua ci ripropone ogni anno il dramma della morte di Dio per l’uomo. Non è una ripetizione inutile. Anche se non siamo gravati dal peso di grandi trasgressioni, ciascuno di noi porta la polvere dei suoi piccoli tradimenti, delle infedeltà quotidiane. Probabilmente sono proprio esse che rischiano di renderci opachi, senza entusiasmi, rassegnati a logiche di piccolo cabotaggio.
Anche l’intelligenza può scadere nel cinismo, se non viene scaldata dalla certezza che vi è un Padre che accoglie e risana tutto, e che vale la pena fidarsi, ricominciare, rischiare, credere nelle possibilità dell’uomo; e, infine, al termine della nostra giornata terrena, consegnarci anche noi come Gesù: “Padre, nelle tue mani…”.
Ultimi commenti
Ma i commercianti vorrebbero lavorare tutto l' anno...o no?
ok emilia allora è solo per il salvataggio del natale? non capisco bene cosa mi contesti... ripeto e concludo per non far diventare questi sproloqui […]
ho la quasi certezza che se un reggiano autocnono, prova anche solo a reagire come fanno spessissimo questi nostri nuovi amatissimi e alacri cittadini italiani,