Prosegue il processo sulla morte di Saman Abbas, la ragazza di 18 anni di nazionalità pakistana che era svanita nel nulla nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio del 2021 dalla sua abitazione di Novellara, in provincia di Reggio, dopo essersi opposta a un matrimonio combinato in patria che era stato organizzato per lei dai suoi genitori. Il suo corpo era stato ritrovato dopo un anno e mezzo, alla fine di novembre del 2022, interrato a tre metri di profondità nelle campagne di Novellara.
Una parte del processo, in particolare quella che vede imputato Shabbar Abbas, padre di Saman, in carcere con l’accusa di aver ucciso la figlia e di averne occultato il cadavere, ruota attorno ai filmati di una telecamera del sistema di videosorveglianza installato all’esterno della casa in cui viveva la famiglia della giovane.
Le immagini mostrano la diciottenne mentre esce di casa con uno zaino di colore chiaro sulle spalle, accompagnata dai genitori Shabbar Abbas e Nazia Shaheen. Sono passati dieci minuti dopo la mezzanotte tra il 30 aprile e il primo maggio 2021: i tre si dirigono insieme verso la zona delle serre. Meno di due minuti dopo, i genitori della ragazza tornano indietro, ma senza la figlia. Quei fotogrammi rappresentano l’ultima testimonianza nota di Saman Abbas ancora viva.
Poco più tardi la telecamera immortala Shabbar Abbas mentre si dirige ancora una volta verso le serre, per poi tornare indietro qualche minuto dopo. In mano, questa volta, ha un oggetto: secondo la sentenza che lo ha condannato all’ergastolo per omicidio, quell’oggetto sarebbe proprio lo zainetto della figlia.
La difesa, tuttavia, contesta questa ricostruzione, sostenendo – dopo aver commissionato una consulenza tecnica di parte a un informatico forense – che non ci sarebbe compatibilità tra i due oggetti. Quello in mano al padre della vittima, insomma, non sarebbe lo zaino che Saman Abbas aveva con sé poco prima. L’avvocata Sheila Foti, legale difensore dell’imputato, in vista dell’inizio del processo di secondo grado davanti alla Corte d’appello di Bologna (al via giovedì 27 febbraio) ha quindi chiesto di disporre una perizia per comparare l’immagine dello zaino della ragazza con quella dell’oggetto che aveva in mano il padre al ritorno verso la casa.
La soluzione è una sola:
prendete madre, padre, fratello, cugini vari….sbatteteli in galera,
senza specificare dove, e poi buttate la chiave.