Sarà inaugurata il 23 aprile la mostra fotografica “Un tocco di classe. L’occupazione delle Officine Reggiane 1950-51”, ideata e prodotta dalla Cgil di Reggio e dedicata appunto alla storia dell’occupazione della grande fabbrica Officine Meccaniche Reggiane, la più lunga della storia d’Italia, durata per ben dodici mesi tra l’ottobre del 1950 e l’ottobre del 1951.
La mostra, realizzata in collaborazione con Comune di Reggio, Spazio Gerra e Stu Reggiane, si concretizza in circa cento fotografie originali dell’epoca e sarà allestita negli spazi del Capannone 18 dell’area ex Reggiane, che all’epoca ospitava il reparto assemblaggio telai del settore ferroviario, riportando così la storia di quel conflitto sindacale nella sua “dimensione naturale”.
Oltre a offrire una cronologia degli eventi, la mostra – che organizza un insieme di materiali estremamente eterogeneo, originale e di qualità sia estetica sia contenutistica in senso storico-documentale – si compone di quattro sotto-aree tematiche: il lavoro (l’autogestione produttiva, l’idea di riconversione della fabbrica contro la dismissione delle attività e i licenziamenti, l’idea del controllo diretto degli operai e dei tecnici sulla produzione, rappresentata dal trattore R60 che fu ideato e realizzato dai lavoratori durante l’occupazione), i conflitti e la costruzione della comunità operaia di lotta, la solidarietà che accompagnò quella dura vicenda di resistenza sociale (solidarietà alimentare e delle categorie produttive che contribuirono a sostenere economicamente lo scontro, quella degli intellettuali nei confronti delle maestranze e quella tra movimento operaio e movimento bracciantile, tra città e campagna) e le biografie (tredici biografie di altrettanti protagonisti di quella lotta per la costruzione del “modello reggiano” negli anni Sessanta e Settanta).
Il percorso espositivo è completato da audio-narrazioni e da materiali documentali, sia originali dell’epoca (in gran parte i fogli e i bollettini di lotta stampati durante la vertenza) sia realizzati per l’occasione, per accompagnare il visitatore in un viaggio nel tempo attraverso le fasi di quella lotta.
La mostra, le cui foto sono state reperite dai fondi di quattro archivi storici (Archivio storico Cgil nazionale, Archivio storico Camera del Lavoro di Reggio Emilia, Fototeca Panizzi e Archivio Istoreco) rappresenta inoltre anche un omaggio a un’esperienza di fotografia militante, quella del Gruppo artigiani fotografi (Gaf) di Reggio.
“Un tocco di classe. L’occupazione delle Officine Reggiane 1950-51” sarà inaugurata sabato 23 aprile alle 16.30 presso il Capannone 18 dell’area ex Reggiane: interverranno il segretario generale della Cgil Maurizio Landini, Valerio Bondi della segreteria della Cgil di Reggio, il sindaco di Reggio Luca Vecchi e Luca Baldissara, storico e professore dell’Università di Pisa. A seguire una performance musicale di Max Collini e Jucca Reverberi.
La mostra, inserita nel Circuito Off di Fotografia Europea 2022, si configura anche come occasione di contaminazione con artisti contemporanei: Simone Ferrarini, del Collettivo Fx, realizzerà infatti due opere di street art di grandi dimensioni proponendo al visitatore una chiave di lettura contemporanea dei contenuti dell’esposizione; il musicista Massimo Zamboni, fondatore dei Cccp (poi Csi) e scrittore, presterà la propria voce leggendo alcuni testi tratti dal “Diario dell’occupazione di Bleki”, stralci di comizi tenuti durante l’anno di lotta e brani tratti dai quotidiani dell’epoca e dal bollettino interno alla fabbrica. A ognuna delle 15 immagini che scandiscono l’anno di occupazione, infatti, corrispondono appositi QR Code attraverso cui ascoltare i brevi audio-racconti.
Nel corso del lungo periodo espositivo, che terminerà il 31 ottobre, sono previste infine una serie di iniziative collaterali: tra queste sono già in programma la messa in scena dello spettacolo della compagnia teatrale MaMiMò “Officine Reggiane. Il sogno di volare”, la realizzazione di un progetto audio sull’occupazione artistica delle Reggiane a cura delle blogger Travel On Art e la realizzazione di una striscia a fumetti ambientata nel periodo 1950-1951 a opera dei fumettisti Matteo Casali e Tommaso Ronda.
“I conflitti sociali portati avanti dalla classe operaia delle Reggiane sono il grande filo rosso che collega il piano locale alla “grande storia” del nostro Paese, motivo per cui ci sembrava essenziale che negli spazi delle ex Officine fosse rappresentata questa dimensione e questa memoria, perché chi attraversa quei luoghi, oggi ricondotti a nuove funzioni, possa conoscerla e sia portato a misurarcisi”, ha spiegato Valerio Bondi, che ha ideato e curato la mostra.
“Abbiamo scelto la vicenda del 1950-1951 per due diversi motivi: il primo è legato alla volontà di valorizzare un materiale straordinario dal punto di vista visivo e storico, straordinario come la vicenda che racconta; il secondo perché da quello scontro, la “restaurazione capitalistica” dei primi anni Cinquanta e le lotte che la contrastarono, emergono alcuni dei tratti caratteristici e delle storture del “modello Italia” con le quali si dovranno fare i conti per lunghissimo tempo. Allo stesso tempo in quella fase maturano alcuni aspetti che caratterizzeranno il modello reggiano, sociale e amministrativo, dei successivi vent’anni: un patrimonio di idee, valori e pratiche sui quali crediamo andrebbe aperta una riflessione vera che potrebbe aiutare a progettare un futuro non omologato della nostra città”.
“Questa mostra offre ai reggiani, soprattutto ai più giovani, l’occasione di conoscere un pezzo di storia fondamentale della loro grande fabbrica”, ha aggiunto il sindaco Vecchi: “L’occupazione fu infatti molto di più di un’azione per vedere riconosciuti dei diritti, primo tra tutti quello al lavoro. Quei mesi resero percepibile a tutti che la comunità di operai era la spina dorsale delle Reggiane, capace di fare impresa e innovazione, di realizzare prodotti all’avanguardia. I segni di quell’esperienza sono visibili anche oggi, nell’eccellenza del sistema produttivo della nostra città e della nostra provincia: non è infatti eccessivo sostenere che il “saper fare” delle aziende locali, grandi e piccole indistintamente ma apprezzate in tutto il mondo, deve a quel momento una sorta di debito culturale e di impegno fattivo e corale nel coniugare progresso e benessere, cultura del lavoro e del fare assieme”.
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Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
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