Affrontiamo questo mini-lockdown su due registri: il registro della ribellione e quello della rassegnazione. Niente di paragonabile col marzo scorso. Allora si era di fronte a un’emergenza imperscrutabile e foriera di sicure tragedie. Prevalse uno spirito unitario: tricolori esposti alle finestre, concerti improvvisati sui balconi di casa. Oggi è diverso. Conosciamo da vicino le regole più restrittive, ci siamo fatti una nostra idea su quel che andrebbe fatto e ciò che non dovrebbe. Eravamo considerati un popolo di commissari tecnici di calcio. Ora ci sentiamo capi del governo o perlomeno epidemiologi, ciascuno con la propria ricetta.
Da presunti esperti quali ci sentiamo, avvertiamo una pulsione ribellistica verso le nuove misure assunte da Conte e compagni. A che serve chiudere bar e ristoranti dopo le 18, se non a mettere sulla strada microimprese e relativi addetti? Quale senso ha chiudere teatri e cinema all’inizio della stagione, sottraendo lavoro in un settore strategico come la cultura? E quante vittime economiche determinerà il mini-lockdown con lo stop alle attività legate alla salute e al benessere?
Dentro molti di noi la fiducia nelle scelte del governo sta venendo o è già venuta meno. Questo nuovo Dpcm allontana gli italiani dai vertici istituzionali e in tanti casi alimenta un senso di ribellione. Vi è in esso uno spirito giudicante: perché lui sì e io no? Cresce la frustrazione che tende a trasformarsi in rabbia. C’è chi in seguito a questo Dpcm cesserà di avere un reddito e non sa quali pesci pigliare. Si ha la sensazione che il governo non comprenda l’urgenza degli ultimi, dei non garantiti. Conte dice di non amare le promesse; ma chi si fida più della politica quando la propria vita diventa in breve tempo impraticabile?
Il secondo registro è conseguenza del primo e si traduce in un senso diffuso di rassegnazione. Perché possiamo raccontarcela come vogliamo, lavorare nel nostro spazio interiore per ritrovare fiducia e gioia di vivere, ma è innegabile il senso di oppressione che deriva dalla rinnovata aggressività del virus e la paura arcana di ammalarci e morirne. Temiamo la malattia e la morte di noi stessi e dei nostri cari. Ma se anche adottiamo le misure della logica, e concludiamo che un destino tanto infausto non sia poi tanto probabile, l’orizzonte resta fosco. Tutto indica che nel decorso delle nostre esistenze saremo chiamati a prove più difficili e che dovremo rivedere i nostri progetti di felicità.
Scopriamo ogni giorno nuove possibili menomazioni che la pandemia porta con sé. Cambieranno tanti nostri gesti quotidiani. Smetteremo di darci la mano, di baciarci sulle guance in segno di saluto, di accarezzare i bambini degli altri e di ritrovare innumerevoli forme di affettività e di confidenza. Avremo nuove abitudini, il che sarà superabile dalle nuove generazioni ma avrà un impatto non marginale sulle persone in età avanzata. Gli stessi Millennials ne rimarranno comunque segnati: le misure di sicurezza li stanno privando dei primi baci, delle amicizie adolescenziali e di buona parte della socialità scolastica. Non è un prezzo da poco.
La consapevolezza della forza al momento incontrollabile del virus prefigura un autunno-inverno molto complicato. È da questa consapevolezza che deriva la rassegnazione. Le città si spengono, nuove povertà si affacciano e perdiamo la voglia di sognare, di creare, di intraprendere. La politica soffre di progressiva sfiducia. Alla solidarietà si è sostituita la logica della sopravvivenza. Inizia un mese di mini-lockdown durante il quale difficilmente la crescita dei contagi si attenuerà. Il governo non rinuncia a un paternalismo di stato francamente stucchevole, evocando il caro Natale in famiglia. Non siamo in buone mani. Meglio usare le nostre.
Quando afferma non siamo in buone mani ha detto tutto, gli esperti hanno dimostrato di non esserlo, la politica prende decisioni estemporanee prive di razionalità figlie della confusione dilagante.
Sentire a fine ottobre scienziati e virologi colpevolizzare il disinvolto periodo estivo per la riesplosione della pandemia dà il senso dello stato delle cose. Speriamo non continuino a farlo anche dopo Natale…magari in Cina gli esperti sono tali , con una media di 1 contagio quotidiano x 100 milioni di abitanti vivono in un mondo completamente diverso dal nostro o magari ci raccontano l’ennesima panzanata…