La crisi prodotta dalla pandemia da coronavirus e delle misure di protezione adottate ha provocato un terribile shock e colorato di rosso intenso l’economia, tanto da determinare la più profonda caduta della produzione mai sperimentata. L’accesso ai mercati esteri ha permesso in parte di contenere la tendenza negativa. Dopo la discesa del 10,4 per cento nel primo trimestre 2020, nel secondo il volume della produzione è crollato del 19,4 per cento.
Questo emerge dall’indagine congiunturale relativa al secondo trimestre 2020 sull’industria manifatturiera, realizzata in collaborazione tra Unioncamere Emilia-Romagna, Confindustria Emilia-Romagna e Intesa Sanpaolo.
Il volume della produzione delle piccole e medie imprese dell’industria in senso stretto dell’Emilia-Romagna si è ridotto di un quinto (-19,4 per cento) rispetto all’analogo periodo del 2019, raddoppiando la perdita del trimestre precedente (-10,4 per cento). Il valore delle vendite è diminuito del 19,3 per cento, mentre il fatturato estero ha mostrato una migliore tenuta e ha contenuto la correzione (-13,7 per cento), pur con una maggiore velocità di caduta.
Uno sprazzo di luce si può individuare nel processo di acquisizione degli ordini, che ha subito una flessione tendenziale del 16,7 per cento, rispetto al – 9,5 per cento del trimestre precedente.
La tendenza recessiva è chiara, ma più contenuta e lascia quindi trasparire la speranza che a un brusco stop possa far seguito una ripartenza Anche gli ordini pervenuti dall’estero hanno accusato un calo (-10,8 per cento) dopo essersi ridotti del 4,6 per cento nel trimestre precedente.
Il grado di utilizzo degli impianti conferma gli effetti del lock down sull’attività e si è attestato al 62,5 per cento, ben inferiore al 76,5 per cento riferito allo stesso trimestre dell’anno precedente.
Il periodo di produzione assicurato dal portafoglio ordini è risultato pari a 8,8 settimane, con un lievissimo aumento rispetto al dato del trimestre precedente (8,3 settimane), che tiene conto della minore capacità produttiva in tempo di Covid.
L’arretramento è evidente in tutti i settori industriali. Ovunque, il fattore export ha contenuto in parte gli effetti negativi. L’industria alimentare ha fatto segnare un passo indietro, anche se è il più contenuto tra tutti i comparti: il fatturato si riduce dell’8,4 per cento sostenuto dalla maggiore tenuta del mercato estero (-5,7 per cento), per la produzione il calo è sensibile (-8,0 per cento), ma per gli ordini minore (-6,2 per cento), ancora grazie anche alla componente estera (-4,5 per cento).
Chi sta molto peggio è il sistema moda: crollo del fatturato totale (-32,4 per cento) ed estero (-19,0 per cento), della produzione (-31,2 per cento) e degli ordini (-26,8 per cento).
La recessione è stata particolarmente sensibile anche per l’industria del legno e del mobile: la discesa del fatturato ha raggiunto il 27 per cento, con un arretramento in linea per produzione (-26,1 per cento) e ordini (-26 per cento).
Va meglio l’industria metallurgica e delle lavorazioni metalliche: il fatturato si è ridotto del 20,4 per cento (migliore tenuta all’estero -14 per cento). La produzione ha seguito lo stesso andamento negativo (-19,9 per cento). Il processo di acquisizione degli ordini complessivi ha confermato la caduta (-19,5 per cento), con maggiore resistenza della componente estera (-11,5 per cento).
L’ampio aggregato delle industrie meccaniche, elettriche e dei mezzi di trasporto ha subito pesantemente le conseguenze della pandemia: con flessione simile per fatturato (- 17,1 per cento) e produzione (-17,3 per cento), appena inferiore per gli ordini (-13 per cento).
Anche l’evoluzione congiunturale del gruppo eterogeneo delle “altre industrie” (chimica, farmaceutica, plastica e gomma e trasformazione dei minerali non metalliferi, ovvero ceramica e vetro) testimonia la recessione. Segno meno per fatturato (-21,9 per cento, quello estero – 15,8 per cento), produzione (-23,5 per cento) e ordini (-21 per cento).
Riguardo alla dimensione d’impresa, nel secondo trimestre 2020 la flessione è stata generalizzata, ma l’andamento congiunturale per fatturato, produzione e ordini è risultato meno grave al crescere della struttura aziendale. In particolare, la produzione è scesa di più (-21,8 per cento) per le minori, poi per le piccole (-19,6 per cento) e infine per le medio-grandi (-18,4 per cento).
Sulla base dei dati del Registro delle imprese, quelle attive dell’industria in senso stretto a fine giugno risultavano 43.964 (pari all’11 per cento del totale), con una diminuzione corrispondente a 613 imprese (-1,4 per cento) rispetto all’anno precedente. La velocità della riduzione è aumentata rispetto al -1,2 per cento del secondo trimestre 2019, nuovo massimo degli ultimi tre anni.
Riguardo alla forma giuridica, sono aumentate di poco le società di capitale (+1,0 per cento, +174 unità), grazie all’attrattività della normativa delle società a responsabilità limitata semplificata che ha invece determinato un effetto negativo sulle società di persone (-352 unità, -3,8 per cento). Le ditte individuali hanno subito una nuova e più ampia flessione (-420 unità, -2,4 per cento).
Secondo l’indagine Istat, l’occupazione dell’industria in senso stretto dell’Emilia-Romagna ha chiuso il secondo trimestre con un notevole passo indietro, scendendo a quota 516.176 (-8,1 per cento), con una perdita pari a quasi 46 mila unità rispetto allo stesso periodo del 2019, raddoppiando la velocità della discesa dei tre mesi precedenti. Nel trimestre il risultato negativo è da attribuire all’ampio calo degli occupati alle dipendenze, risultati quasi 473 mila con una riduzione del 7,9 per cento, pari a oltre 40 mila unità, al quale si è aggiunto il più rapido ripiegamento dell’occupazione autonoma, scesa del 10,7 per cento fino a poco più di 43 mila unità.
Ancora in base ai dati Istat relativi al commercio estero regionale, riferiti alle esportazioni effettuate da tutte le imprese che svolgono le operazioni doganali in regione, e quindi tracciano un quadro leggermente rispetto all’indagine congiunturale, nel primo semestre del 2020 si evidenzia una brusca inversione della forte tendenza positiva delle vendite all’estero dell’Emilia-Romagna avviata con l’inizio del 2017 e che aveva già subito un rallentamento a fine 2019.
Le esportazioni di prodotti dell’industria manifatturiera sono risultate pari a quasi 27.595 milioni di euro e hanno fatto segnare una caduta del 14,2 per cento, che non ha precedente riscontro se non con quella riferita alla crisi del 2009. Peraltro, il segno rosso non ha prevalso in tutti i settori considerati, anzi, alcuni hanno ottenuto incrementi notevoli. Il principale contributo positivo è venuto dall’aumento dell’export delle altre industrie manifatturiere (+6,5 per cento), dovuto a un exploit (+43,8 per cento) dell’industria del tabacco. Seguono l’industria alimentare e delle bevande (+2,4 per cento), chimica, farmaceutica e materie plastiche (+0,7 per cento), trainata dai prodotti farmaceutici (+38 per cento) avvantaggiati dalla pandemia.
In difficoltà invece tutti gli altri settori con alcune differenze: tengono meglio le vendite estere dell’industria della lavorazione di minerali non metalliferi, ovvero ceramica e vetro (-13,3 per cento) e quelle dell’industria delle apparecchiature elettriche, elettroniche, ottiche, medicali e di misura (-17,8 per cento). Le vendite dell’industria della metallurgia e dei prodotti in metallo hanno ceduto il 21,2 per cento. Hanno pesato particolarmente sul risultato totale la caduta dell’export di moda (-20,4 per cento), mezzi di trasporto (-23,3 per cento), macchinari (-18,5 per cento).
Per quanto riguarda le destinazioni, il calo è ovunque: dall’Europa come mercato centrale per l’export regionale (-13,5), con la punta negativa in Spagna (-24,4), all’Africa (-21,2 per cento), all’Asia (-15, 6 per cento) con estremi per Cina (-24,8 per cento) e India (-31,7 per cento), ai mercati Americani (-14,5 per cento) con gli Usa (-13,9 per cento).
«La pandemia ha determinato una crisi economica senza precedenti come è evidente dai numeri della prima metà dell’anno, caratterizzata dalla fase di lockdown – afferma il Presidente di Unioncamere Emilia-Romagna Alberto Zambianchi – Nelle ultime settimane alcuni dati congiunturali diffusi dall’Istat portano il segno positivo, a sottolineare come il punto di caduta più basso per alcune variabili – come l’export o il PIL – sia stato già superato. Per altre, come l’occupazione, occorrerà attendere i prossimi mesi per comprenderne meglio le dinamiche. È difficile delineare uno scenario di previsione. Più efficace descrivere la fase che stiamo vivendo, una curva in rapida discesa seguita da una crescita più lenta e graduale, che ci riporterà al valore precedente del PIL in alcuni anni. La pandemia ha accelerato e reso irreversibili alcune dinamiche in atto, proiettandoci in uno scenario dove i fattori che rendono le imprese competitive vanni ricercati nella presenza sui mercati esteri e, in misura ancora superiore, nel grado di digitalizzazione.
Il digitale sta rivoluzionando l’architettura delle filiere e della logistica, sta cambiando il modo di produrre e il modo di lavorare, di consumare, di vivere. Sta plasmando un nuovo contesto competitivo, ricco di insidie e, al tempo stesso, di opportunità che si possono cogliere solo se si ha consapevolezza del dove si vuole andare. In Emilia-Romagna, ciò significa soprattutto pensare politiche in grado di declinare in maniera innovativa crescita economica e coesione sociale, i due pilastri del modello di sviluppo regionale. Il nuovo patto per il lavoro e per il clima proposto dalla Regione rappresenta la sede più idonea per progettare l’Emilia-Romagna del futuro. Le Camere di commercio sono pronte a dare il proprio contributo».
Dopo il ritorno alla crescita emerso a marzo, prosegue l’aumento dei prestiti alle imprese dell’Emilia-Romagna, che a giugno hanno registrato un ritmo di sviluppo del 3,7% a/a − secondo l’analisi della Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo − (dal +0,2% a/a di marzo e -0,6% di fine 2019, variazioni corrette per le cartolarizzazioni). Questo andamento è sostenuto dagli interventi a supporto della liquidità e del credito, quali le moratorie e i prestiti con garanzia pubblica.
Dopo aver interessato in una prima fase soprattutto le grandi imprese, la crescita successivamente si è estesa alle imprese di minori dimensioni (+2,5% a/a). Si osserva che la ripresa ha interessato i prestiti all’industria, la cui dinamica annua si è rafforzata a +4,3% a/a a giugno, dal -2,2% di fine 2019 (variazioni calcolate su volumi al netto delle sofferenze). La crescita è proseguita nei mesi successivi. I dati relativi alle operazioni garantite arrivate al Fondo centrale per le PMI mostrano che al 1° ottobre l’Emilia-Romagna ha espresso un totale di oltre 100mila operazioni per un importo finanziato di 8,9 miliardi, un flusso in aumento dell’80% rispetto a inizio luglio. Di queste operazioni, 84mila riguardano prestiti fino a 30mila euro, pari a un importo finanziato di 1,6 miliardi. Oltre il 60% del complesso dei prestiti garantiti dal Fondo centrale per le PMI si è originata in quattro province: Bologna con volumi per poco meno di 2 miliardi, Modena con 1,6 miliardi, Reggio Emilia e Parma con oltre 1 miliardo ciascuna. Seguono, in base agli importi finanziati, Forlì-Cesena e Ravenna con circa 800 milioni ciascuna, Rimini e Piacenza con circa 600 milioni, e Ferrara con 400 milioni. Rispetto a inizio luglio, nelle quattro province col maggior numero di operazioni gli importi sono aumentati dell’85% a/a.
D’altro canto, è proseguito il rallentamento dei prestiti alle famiglie consumatrici, emerso da marzo, con una crescita scesa a +1,5% a/a dal +2,3% a/a di marzo e 3,1% di fine 2019 (variazioni corrette per le cartolarizzazioni), in particolare per la brusca caduta del credito al consumo a seguito del calo di domanda di beni durevoli. I finanziamenti per acquisto abitazioni hanno mostrato una miglior tenuta, evidenziando un moderato rallentamento dello stock, a +2,7% a/a in Emilia-Romagna, dal 2,9% di marzo, dopo la ripresa osservata nell’ultima parte del 2019 fino al +3,2% a/a di dicembre (dati relativi ai prestiti escluse le sofferenze). Inoltre, nel 2° trimestre, i flussi lordi di mutui residenziali hanno mostrato un rimbalzo, dopo il calo del trimestre precedente. Tra le province, si sono osservati andamenti misti dello stock di mutui, con una prevalenza di rallentamenti in quattro province, in particolare a Modena (dal +2,6% di marzo al 2,0% di giugno), Parma (dal 2,0% all’1,6%), Piacenza (dall’1,1% allo 0,6%) e Ferrara (dall’1,7% all’1,4%). Stabili i tassi di crescita di altre tre province, tra cui Bologna cui spetta ancora una volta la dinamica massima, pari a 4,1% a/a, seguita da Forlì-Cesena e Reggio Emilia che, col 3,7% e 3,5% rispettivamente, hanno confermato le buone dinamiche precedenti.
Ravenna conferma l’andamento del 2019 dopo un dato anomalo a marzo (+1,1% a/a a giugno). In rafforzamento, all’opposto, il ritmo di Rimini dal +2,9% di marzo al 3,3%).
Nonostante gli impatti economici negativi della pandemia, la qualità del credito continua a migliorare in regione. Nel 2° trimestre 2020 il tasso di deterioramento dei prestiti è risultato in calo, raggiungendo un nuovo minimo per il totale dei finanziamenti a residenti dell’Emilia-Romagna, a 1,2%. Tra le componenti, si è ridotto anche l’indice riferito alle società non-finanziarie della Regione, sceso a 1,4%, sotto la media nazionale di 1,6%. Per le famiglie consumatrici, il tasso di deterioramento dei prestiti è rimasto circa stabile attorno allo 0,8%, in linea con i tre trimestri precedenti. Inoltre, l’incidenza delle sofferenze sul totale dei prestiti si è ridotta a giugno e luglio, anche per effetto dell’aumento del denominatore. In Emilia-Romagna le sofferenze delle imprese sono scese a luglio al 6,3% del totale dei prestiti al lordo delle rettifiche di valore, 1 punto percentuale in meno di marzo-aprile. L’incidenza delle sofferenze resta più bassa della media nazionale (6,7% a luglio 2020). In sintesi, sinora è proseguita la riduzione dei rischi creditizi, nonostante la forte recessione registrata nel primo semestre. Tuttavia, a seguito della fase economica negativa causata dalla pandemia, è atteso in prospettiva un peggioramento della qualità del credito, sebbene mitigato, tra l’altro, dalle politiche di sostegno messe in atto a favore delle imprese e delle famiglie.
Cristina Balbo, Direttrice regionale di Intesa Sanpaolo: «Il periodo oggetto di analisi è stato ovviamente segnato dagli effetti del Covid-19. Sin da subito è stato evidente che il bisogno più impellente delle imprese sarebbe stato quello della liquidità e ci siamo mossi immediatamente per dare il massimo sostegno per consentire loro di superare le difficoltà e ripartire prima possibile, sia con misure proprie che con tutte le soluzioni previste dal Decreto Liquidità.
I prestiti alle imprese, nel secondo trimestre dell’anno, hanno continuato a crescere ma è evidente che tale dinamica è stata appunto sostenuta dalla necessità di resilienza a fronte del calo dei fatturati. Non a caso tale trend è stato supportato in maniera importante dai prestiti a garanzia pubblica. Per quanto riguarda il nostro Gruppo, nei primi nove mesi dell’anno abbiamo erogato 2,7 miliardi di euro di nuovo credito alle imprese dell’Emilia-Romagna.
Un primissimo spaccato della seconda metà dell’anno lascia intravedere segnali di ripresa, in virtù della volontà di ripartenza del tessuto imprenditoriale. Ma resta evidente come l’evoluzione del contesto sanitario, e di conseguenza economico, nazionale e internazionale risulterà determinante per consolidare gli effetti degli sforzi e delle strategie di questi mesi. Per quanto riguarda il mondo del credito è evidente come una così rapida ed incerta evoluzione dei mercati renda fondamentale mettere a disposizione delle nostre aziende strumenti facilmente accessibili, efficaci e immediati».
«Il rimbalzo dopo il lockdown è stato migliore delle attese soprattutto nel manifatturiero – dichiara il Presidente di Confindustria Emilia-Romagna Pietro Ferrari – ma il quadro economico è caratterizzato da una fortissima incertezza rispetto all’intensità della ripresa, che sarà probabilmente più lenta e difficile del previsto. Il contesto generale rimane critico in alcuni comparti industriali, specie tessile abbigliamento e automotive, e nei servizi, con una situazione comunque molto diversificata tra settori e tra imprese».
Le previsioni dell’indagine semestrale evidenziano saldi tra ottimisti e pessimisti nulli o negativi per produzione, ordini e occupazione. «Se nella prima fase l’emergenza era legata alla liquidità, oggi – sottolinea il Presidente Ferrari – il punto fondamentale sono clienti e ordini, con il rischio che anche le imprese più solide abbiano difficoltà nel medio lungo periodo.
Per evitare che gli effetti della crisi diventino permanenti sarà decisiva la capacità di accelerazione della ripresa. Il “Piano nazionale di Ripresa e Resilienza”, collegato a Next Generation EU, deve contenere proposte di riforma e di investimento in grado di assicurare al Paese slancio e modernizzazione: da tempo ne sottolineiamo l’urgenza, ora per la prima volta abbiamo ingenti risorse per farlo. Non abbiamo margini di errore. Nell’attuazione delle misure Regioni ed Enti locali possono giocare un ruolo fondamentale nel quadro di una strategia nazionale comune e condivisa».
Le conseguenze della caduta della domanda si rifletteranno nel mercato del lavoro, con effetti negativi che riguarderanno in modo trasversale molte professioni e che rischiano di impattare in modo più diretto su giovani e donne. Dall’indagine emerge la preoccupazione degli imprenditori sull’occupazione: 3 imprese su quattro prevedono stazionarietà nei livelli occupazionali e il 17,5% si aspetta un calo entro fine anno.
«In questo momento critico – aggiunge il Presidente Ferrari – occorre rilanciare gli investimenti e la domanda interna, garantendo stabilità e continuità alle misure fiscali come il 110%, agli incentivi fiscali per investimenti in macchinari, ai progetti di innovazione tecnologica previsti dal Piano transizione 4.0 (Industria 4.0), ed è indispensabile accelerare il più possibile il Recovery Plan».
Confindustria ha recentemente presentato lo studio “Il coraggio del futuro. Italia 2030-2050”, che rappresenta la visione degli imprenditori per il progresso del Paese con due cardini di riferimento: l’Europa e la centralità dell’industria. «L’Emilia-Romagna – conclude il Presidente Ferrari – si deve collocare in questo contesto. Come abbiamo sottolineato nelle nostre proposte Traiettoria 2030, un ecosistema regionale moderno, innovativo, sostenibile e competitivo rappresenta un asset strategico per far crescere le imprese e creare occupazione in Emilia-Romagna e nel Paese.
Il nuovo Patto per il lavoro dovrà essere capace di tradurre rapidamente gli obiettivi e la visione a medio e lungo termine in misure ed interventi efficaci e di impatto sullo sviluppo della regione e sulla capacità del sistema economico di creare nuova occupazione. Penso ad esempio alle politiche per accompagnare la transizione del sistema industriale verso gli obiettivi di innovazione digitale e di sostenibilità indicati dall’Unione Europea».
Ultimi commenti
Anche l' Ordine degli Avvocati di Reggio Emilia .
Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
Diranno, sia a sinistra che a destra, che c'è un disinteresse della politica, in particolare dei giovani, diranno che molti non votano perché pensano che, […]