Quanto poco riusciamo a permanere dentro le emozioni afflittive? Quanto cerchiamo di rifuggire l’ansia che esse provocano?
Le emozioni afflittive hanno in serbo il farmaco per essere felici.
Generalmente tendiamo a fuggire da paura, rabbia, tristezza… Proviamo ansia quando il nostro io è sotto pressione.
Le emozioni afflittive sono scatenate dagli attaccamenti che abbiamo sia materiali, che immateriali e se osserviamo attentamente ci accorgiamo che comunque questi attaccamenti prima o poi dovremo lasciarli andare, poiché non siamo eterni in questo corpo.
Per poter veramente lasciar andare qualcosa, senza la pretesa di diventare dei Buddha o degli illuminati, è bene permanere in ciò che stiamo vivendo, cioè osservare, sentire quanto ci sta capitando e magari chiedere aiuto a qualche esperto se sentiamo di non farcela.
Per poter permanere in ciò che stiamo vivendo, prima di tutto dobbiamo dargli il benvenuto; se fuggiamo non avremo modo di osservare e di imparare qualcosa su noi stessi.
Il mondo che quotidianamente viviamo è caratterizzato dalla fuga, dalla fuga da se stessi. Grazie a questa fuga alimentiamo il consumismo, che come un narcotico aiuta a desensibilizzare il dolore provocato dalle emozioni afflittive, poiché spostiamo l’attenzione sempre su qualcosa d’altro. Con ciò si spiega l’aumento dei disturbi dell’attenzione presenti fin dalla tenera età.
Marx diceva che la religione è l’oppio dei popoli. Oggi il vero oppio è il consumismo, che ci condiziona pesantemente perché in base ai luoghi che frequentiamo, i siti che visitiamo, l’età che abbiamo ci vengono fatte delle proposte o addirittura ci viene indotto il bisogno di acquistare determinati prodotti.
Come possiamo sbarazzarci di questa modalità obliante di esistenza?
C’è un unico modo: ritornare all’attimo, all’attimo presente, ciò da cui tutti i narcotici di vario tipo ci distolgono.
Dalla porta dell’attimo si dipartono due sentieri. Uno va indietro, è il passato e dura un’eternità.
L’altro va in avanti, è il futuro ed è un’altra eternità. Questi sentieri si contraddicono a vicenda.
L’idea del tempo lineare è stata un’invenzione del Cristianesimo che ha sancito l’anno zero.
Il tempo della natura è invece un tempo circolare, con le stagioni, primavera, estate, autunno inverno e ancora primavera; il tempo della natura è un tempo che reitera sempre lo stesso ciclo, un tempo che è sempre presente, perché nel seme è già contenuto l’albero, il fiore ed il frutto.
Il tempo lineare, con il passato ed il futuro, è un tempo del mai più e del non ancora. E’ un tempo che per poter portarsi nel presente ha bisogno di oggettivare, di riportarsi alla materia, al visibile, al tangibile; la sua distorsione è appunto il consumismo, poiché attraverso l’acquisto di prodotti possiamo apparentemente fermare il tempo, possederlo attraverso gli oggetti, anche se siamo effimeri.
Le origini di questo attaccamento alla materia stanno nel mondo greco. Zeus spodestò suo padre Kronos, che aveva ingoiato i propri figli perché gli era stato predetto che un figlio lo avrebbe ucciso.
Zeus, grazie ad un inganno della madre, si salvò dal padre e una volta cresciuto lo cacciò diventando padrone dell’Olimpo e del cielo, mentre di Ade fu il regno dei morti e di Poseidone quello dei mari.
Zeus divenne padrone di ciò che era visibile, tangibile, di ciò che è materia.
Ed ecco che dall’unione delle civiltà greca e cristiana si giunge ad un eccesso in cui il tempo lineare è sempre più frenetico e la materia è il viatico per fermare il tempo.
Ciò che ci guarisce è ritornare al tempo ciclico della natura e contemplare nella nostra visione anche la dimensione dell’invisibile.
Cosa significa contemplare la dimensione dell’invisibile? Significa contemplare nel vivere quotidiano che siamo circondati da simboli di altre civiltà che coesistono assieme a noi, da dei, dee, antenati, spiriti insiti nella natura e in tutto ciò che ci accade.
Siamo troppo ipnotizzati dalla dimensione visibile che non ci permettiamo più di vedere le immagini ed i simboli che rimandano a qualcosa di invisibile… Del resto metà della vita di ognuno è formata dall’invisibile: quando sogniamo non siamo al cospetto dell’invisibile? I pensieri, le immagini che facciamo sulla realtà non sono invisibili?
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Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
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