Colpo di scena nella vicenda dell’ex procuratore capo di Reggio Emilia Marco Mescolini, rimosso a febbraio del 2021 dal suo incarico e – per decisione unanime del plenum del Csm – trasferito a Firenze come sostituto procuratore per “incompatibilità ambientale con ogni funzione giudiziaria nel distretto di Bologna”.
La settima sezione del Consiglio di Stato ha infatti ribaltato il verdetto del Tar del Lazio che, in primo grado, ha respinto il ricorso di Mescolini contro le decisioni del Consiglio superiore della magistratura. La sentenza di secondo grado, pubblicata oggi, accoglie invece il ricorso e “annulla i provvedimenti con lo stesso impugnati”.
Mescolini, dopo aver prestato servizio nella Procura antimafia di Bologna e aver condotto (con la collega Beatrice Ronchi) il processo contro la ‘ndrangheta nel reggiano “Aemilia”, era stato allontanato sulla base di un esposto fatto al Consiglio superiore della magistratura da quattro sue sostitute. Nell’atto si lamentava una “situazione di disagio creatasi per la mancanza di serenità nello svolgimento del lavoro” a causa “dell’asserita perdita di credibilità e autorevolezza dell’istituzione rappresentata, che sarebbe apparsa all’esterno priva di indipendenza”.
In dettaglio le condotte contestate a Mescolini riguardavano da un lato le chat con Luca Palamara ex capo dell’Anm (considerato a capo delle nomine dirigenziali dei magistrati) e dall’altro la gestione di due inchieste che coinvolgevano esponenti del Pd sul territorio. Secondo le accuse a lui mosse l’allora procuratore avrebbe chiesto nello specifico ai suoi pm, titolari di un fascicolo sui presunti bandi “pilotati” del Comune, di non iscrivere nel registro degli indagati il sindaco Luca Vecchi e rinviò (come ammise lui stesso) delle perquisizioni in municipio per evitare di “influenzare” le amministrative del giugno 2019.
Inoltre Mescolini, denunciarono le firmatarie dell’esposto, sarebbe intervenuto anche sul “caso Bibbiano”, ritardando la chiusura dell’inchiesta prevista a poche settimane dalle elezioni regionali del gennaio 2020. Per quanto riguarda le sentenze, quella di primo grado del Tribunale amministrativo che ha respinto il ricorso, ha stabilito che, diversamente da quanto lamentato da Mescolini, il Csm “aveva svolto un’istruttoria approfondita, rivolta ad accertare che l’esposto non fosse dettato da inimicizie personali o dalla volontà delle firmatarie di conservare il proprio status quo, come era stato prospettato dall’appellante nelle sue difese”.
In secondo luogo è stata disattesa anche la censura secondo cui nella delibera di trasferimento l’organo di autogoverno dei magistrati avrebbe inserito circostanze non attinenti all’incompatibilità ambientale. Da ultimo, il Tar ha ritenuto infondato il motivo di ricorso con cui era stata censurata la ravvisata incompatibilità allo svolgimento delle funzioni in tutto il distretto di Bologna, “per essere la delibera del Csm adeguatamente motivata anche su questo punto” e visto il “ruolo dirigenziale ricoperto dal magistrato e dell’attività da lui svolta in precedenza presso la Dda di Bologna, nonché del clamore mediatico che aveva portato a tratteggiare la figura di un magistrato con a cuore le sorti degli esponenti locali di una parte politica”.
Il Consiglio di Stato invece, affrontando in maniera capillare tutti gli aspetti, ha ritenuto che c’è stata “un’incompletezza del quadro istruttorio su cui si è basato il trasferimento d’ufficio, erroneamente non rilevata dalla sentenza appellata, che ha viziato e reso illegittimo il trasferimento stesso”.
(Agenzia Dire)
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Anche l' Ordine degli Avvocati di Reggio Emilia .
Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
Diranno, sia a sinistra che a destra, che c'è un disinteresse della politica, in particolare dei giovani, diranno che molti non votano perché pensano che, […]