E’ tempo di Open Day. Di che si tratta? Di incontri, che avvengono proprio in queste ultime settimane dell’anno con le famiglie, prima delle iscrizioni nelle scuole. Si tratta di veri e propri spot pubblicitari. Performance di marketing scolastico. Quando sono iniziati? Da quando la scuola ha iniziato ad assomigliare sempre più ad un’azienda piuttosto che quello che è e dovrebbe continuare ad essere: un “organo costituzionale”. E usa parole non appartenenti al proprio vocabolario, ma al vocabolario del marketing: offerta, debiti, crediti, dirigente, bonus premiale, merito, ecc.).
Un tempo le famiglie erano obbligate ad iscrivere i propri figli nella scuola più vicina a casa. Ora il mercato scolastico è libero – come si dice. Ogni famiglia iscrive i propri figli dove vuole. Gli open day hanno la funzione di informare in brevissimo tempo i genitori dei possibili nuovi studenti di una scuola sul funzionamento della scuola stessa e sulle sue caratteristiche.
E’ naturale che docenti e studenti, dirigenti e personale scolastico, tentino di fare pubblicità alla propria scuola. Come?Presentando i propri “prodotti” come fossero medaglie da esibire o articoli da vendere. La logica è quella aziendalistica. La concorrenza non solo è legittimata, ma auspicata: addirittura fra le stesse scuole statali. Il prodotto numero uno da mettere in mostra? I migliori studenti che frequentano la propria scuola, di solito. E i peggiori? Sono furbescamente nascosti. Gli studenti migliori diventano i testimonial preferiti della propria scuola. Partecipano agli open day come hostess.
Tutti. Mentre i prof e i docenti informano e presentano la propria organizzazione. Nel modo più oggettivo possibile? No, nel modo più convincente possibile. Nella pubblicità, è noto, non occorre dire proprio tutta la verità. L’importante è il risultato. Quale? Che sempre più studenti, per un motivo o per l’altro, scelgano di scegliere una scuola e non le altre. Siamo alla scuola-auditel. La qualità? La fanno i numeri. Le più frequentate, pare che siano le migliori. Sarà vero?
E’ ovvio che sia così Giuseppe, poiché la scuola oggi (non tutte per fortuna e come sai) è prevalentemente funzione della vita economica. E la dimensione economica, che prende forma dal lessico che citi (e a cui aggiungerei “profitto” e “rendimento”) è quella dei numeri: misura, peso e quantità.
La domanda che va posta non è “Che cosa occorre che l’uomo sappia fare per l’ordinamento sociale [ed economico] esistente”, ma l’altra: “Quali disposizioni porta l’uomo in sé e che cosa può venir sviluppato in lui”. In questo modo diverrà possibile che la generazione che cresce apporti forze sempre nuove all’ordinamento sociale [ed economico]. In esso vivrà allora quello che continuamente possono farne gli individui umani completi che vi entrano, anziché costringere la nuova generazione a diventare ciò che l’ordinamento [sociale ed economico] già esistente vuole ch’esso sia. (cit. con qualche licenza).