Cattolici e politica. Il vescovo: la mia lettera strumentalizzata a fini impropri e polemici

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L’arcivescovo Giacomo Morandi “apprezza che si sia aperto un dibattito sull’impegno dei cattolici in politica a partire dalla sua comunicazione relativa alla campagna elettorale e ai ministri laici della Chiesa: se la posizione espressa dal pastore è stata chiara e concisa, il fraintendimento montato tramite i media da qualche dissenziente è apparso invece confuso e insistito”.

Il vescovo di Reggio Emilia e Guastalla affida al direttore del settimanale diocesano La libertà, Edoardo Tincani, la risposta ai dubbi sorti in questi ultimi giorni nel mondo cattolico reggiano dopo il suo “non expedit“.

Tincani scrive che la lettera – indirizzata al vicario generale e ai parroci della Diocesi – è poi uscita “dai canali consoni, con conseguente chiacchiericcio”. “Dispiace – commenta monsignor Morandi – che la lettera riservata ai parroci sia stata strumentalizzata a fini impropri e polemici. Quello che non comprendo è che si sia arrivati a evocare il Non expedit di Pio IX, quindi il divieto ai cattolici di partecipare alle elezioni e in genere alla vita politica dello Stato italiano: utilizzare questa citazione significa dare un’interpretazione non corretta, fuorviante e capziosa, che denota peraltro l’ignoranza della storia e di quello specifico provvedimento, che nasceva nel contesto di rapporti conflittuali fra Stato e Santa Sede. Il provvedimento pastorale che ho adottato infatti esprime esattamente l’intenzione opposta, cioè che i cristiani che sentono la vocazione al servizio politico possano seguirla con pieno diritto, liberamente e responsabilmente, nella consapevolezza che sia il ministero di natura ecclesiale che l’impegno politico chiedono un coinvolgimento totalizzante di tempo e risorse, dunque è bene siano nettamente distinti”.

Ovviamente, il “non expedit” è sempre stato dai noi virgolettato e sempre correttamente spiegato: un divieto è stato chiaramente imposto (se si è catechisti, semplici lettori o anche consiglieri pastorali, non ci si può infatti candidare, e lo spiegano pure la famose FAQ), che non significa che i cattolici non possano occuparsi di politica.

Tincani, poi, scrive di “disposizione prudenziale e temporanea dettata a monsignor Morandi da un sano realismo, a partire da elementi di fatto oggi incontrovertibili quali la frammentazione dei cattolici in tutte le forze partitiche e la sistematica polarizzazione di opinioni e appartenenze”. Torna nuovamente a parlere il vescovo, spiegando la finalità della lettera: “Evitare che da entrambe le parti possano esserci strumentalizzazioni dei ruoli ricoperti e si trasferisca nelle parrocchie la conflittualità tipica dell’agone politico, alimentando quelle polemiche e contrapposizioni che in campagna elettorale sono all’ordine del giorno”.

Si cita infine una intervista rilasciata da monsignor Gianpiero Palmieri, vescovo di Ascoli Piceno e vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana per il Centro Italia, che a gennaio hi dichiarato a QN: “Chi si candida in qualsiasi lista alle prossime elezioni comunali dovrà dimettersi dai ruoli di responsabilità svolti in diocesi, lasciando i rispettivi incarichi sia nel consiglio pastorale diocesano che nei consigli parrocchiali… Non vorrei, infatti, che le chiese e le parrocchie possano diventare luoghi di campagna elettorale” (ma, a voler essere pignoli, non si parla di catechisti e lettori…).

Così si conclude poi l’articolo della Libertà.

L’indicazione data dal vescovo Giacomo chiama in causa i parroci, invitandoli a una saggia valutazione con i fedeli interessati, ove afferma: “Questo indirizzo deve essere mediato dal parroco, in un dialogo”; peraltro l’indirizzo diocesano non è rivolto ai membri laici delle associazioni e dei movimenti ecclesiali ed è inteso che la non elezione della persona candidata che si è dimessa dagli incarichi ecclesiali porrà termine alla sospensione. Chiariti i destinatari del provvedimento, monsignor Morandi ci tiene a richiamare il “necessario impegno” dei cristiani per il bene comune – formulato spesso anche da Papa Francesco – secondo quella definizione (che Paolo VI desunse da Pio XI) della politica come la più alta forma di carità e gli orientamenti definiti dalla Dottrina sociale della Chiesa.

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