“Il lavoro è la chiave per il reinserimento sociale del detenuto: sia perché gli consente di acquisire competenze che potrà spendere una volta libero sia perché si rivela utile per contrastare le recidive”. Così Roberto Cavalieri, garante dei detenuti dell’Emilia-Romagna, è intervenuto a Reggio Emilia durante l’iniziativa sullo stato dell’arte delle carceri in Italia. “Molti non sanno – ha aggiunto – che a ciascun detenuto viene chiesto un contributo economico per ogni giorno che passa in carcere: una cifra non elevata ma che, nell’arco dell’anno, può superare i mille euro. Il lavoro, pertanto, diventa importante per evitare al detenuto di accumulare debiti da estinguere all’uscita dal carcere”.
Il garante ha affrontato il tema della situazione lavorativa nelle carceri dell’Emilia-Romagna confrontandosi con rappresentanti dell’amministrazione penitenziaria, istituzioni, associazioni di volontariato e imprese.
La riflessione di Roberto Cavalieri, promotore dell’iniziativa, parte dai numeri. “Sono ancora pochi in Emilia-Romagna – ha evidenziato – i detenuti cui è assicurata una mansione lavorativa. Fra i quasi 3.500 reclusi, circa 900 lavorano, seppur in modo non continuativo, alle dipendenze dell’amministrazione carceraria, ad esempio come aiuto cuoco, nelle pulizie e nelle manutenzioni. Molti meno, circa 150, sono, invece, quelli che lavorano, seppur all’interno del carcere, alle dipendenze di aziende esterne, ad esempio in falegnamerie, lavanderie industriali, call center e sartorie. Infine, poco meno di altre 150 persone, godendo di permessi per uscire dal carcere, hanno impieghi all’esterno delle strutture carcerarie”. Per Cavalieri quella del lavoro resta l’unica via per garantire una speranza al detenuto: “Questo strumento, come d’altronde afferma la stessa normativa in materia, deve essere accessibile a tutti i detenuti. Occorre poi, parallelamente, lavorare per favorire l’ingresso nelle strutture carcerarie di un numero crescente di imprese private”. A riprova cita alcuni casi virtuosi: “Le esperienze incoraggianti non mancano, dalla metalmeccanica a Bologna alla lavanderia industriale che si è trasferita nel carcere di Parma, fino all’esperienza dell’Ovile a Reggio Emilia e alle produzioni agricole a Castelfranco Emilia”.
A rafforzare l’analisi del garante è Gloria Manzelli, provveditore dell’amministrazione penitenziaria di Emilia-Romagna e Marche: “Rispetto al passato, a livello statistico, sono decisamente meno i detenuti in attesa di giudizio. Sul totale, i condannati in via definitiva arrivano circa a 2.700, di questi poco più di 900 hanno una condanna inferiore ai due anni. Sono persone che potrebbero accogliere offerte di lavoro all’esterno. Il lavoro in carcere è un vero e proprio paracadute sociale, che produce, come contrasto alle recidive, aspetti positivi anche sulla sicurezza delle comunità”.
A Reggio sono stati presentati esempi virtuosi. Gianluca Coppi di Libelabor, impresa sociale consortile, racconta l’esperienza nel carcere di Parma: “Il nostro è un progetto particolare che abbiamo chiamato ‘Sprigioniamo il lavoro’. Da quest’anno all’interno del carcere di Parma è attiva una lavanderia industriale nella quale facciamo lavorare insieme detenuti (8) e non detenuti (5) e nel 2024 abbiamo l’obiettivo di coinvolgere ulteriori 8 ristretti (che stanno seguendo ora un percorso formativo)”. Gli fa eco Francesco Pagano, della cooperativa sociale Giorni nuovi, che fa il punto sull’attività nelle strutture carcerarie di Modena e Castelfranco Emilia: “Diamo la possibilità a 15 detenuti di avere un lavoro. Ci occupiamo della produzione di ostie e di pezzi del presepe e vorremmo ampliare il nostro progetto anche all’esterno di queste carceri per garantire ai detenuti impegnati il completamento del loro percorso di reinserimento sociale. Vogliamo che abbiano una vera possibilità”.
Il punto di vista delle istituzioni è stato affidato a politici e amministratori. Per Federico Amico, presidente della commissione Parità dell’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna, “il lavoro in carcere ricopre un ruolo fondamentale che ha la funzione di promuovere la reintegrazione sociale, combattere la recidiva, acquisire competenze e aumentare la fiducia nelle proprie capacità. Un ticket da utilizzare una volta fuori”. Sulla stessa linea l’assessore del Comune di Reggio Emilia al Welfare, Daniele Marchi: “È fondamentale coinvolgere il sistema del lavoro, a partire dalle imprese. Diventa centrale accompagnare l’amministrazione penitenziaria, come fanno la Regione Emilia-Romagna e il Comune di Reggio Emilia, in questi percorsi lavorativi rivolti ai detenuti. Il lavoro è importante per il reinserimento sociale del detenuto e anche per garantire più sicurezza all’interno della comunità”. Sul tema della parità in carcere si è soffermata la consigliera regionale Roberta Mori: “La violenza sulle donne, come affermato dallo stesso presidente Mattarella, è un fenomeno ignobile, va contrastato con forza in tutti i contesti. Dobbiamo lottare contro le discriminazioni e una leva è proprio il lavoro, che deve coinvolgere anche le detenute. Purtroppo attualmente i progetti al femminile attivi in carcere sono pochi”.
Nel corso del convegno su “Carcere e lavoro: opportunità, realtà e doveri costituzionali. Lo stato dell’arte in Emilia-Romagna” che si è tenuto a Reggio nei Chiostri di San Pietro venerdì 1° dicembre, sono intervenuti anche Federico Bertani, dell’ordine degli avvocati, Maria Letizia Venturini, presidente del tribunale di sorveglianza di Bologna, Felice Di Girolamo, del ministero della Giustizia, nonché Francesca Bergamini, Marco Melegari e Gino Passarini della Regione Emilia-Romagna.
Sulla vita nelle carceri regionali, sempre a Reggio Emilia è stato presentato il volume “Repertorio d’immagini degli spazi trattamentali delle carceri in Emilia-Romagna”, un progetto del garante regionale dei detenuti con la collaborazione del fotografo Francesco Cocco: 1.200 foto che ritraggono spazi comuni, aule, palestre, luoghi di colloquio e campi sportivi.
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Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
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