Secondo l’edizione weekend del Financial Times esiste una verità nascosta che si collega a questa lunga fase di solitudine forzata cui il Covid ci ha indotto: restare a casa, in sintesi, non è poi così male.
Al netto di vittime, ammalati, contagiati, in quarantena, obbligati a fare miracoli per gestire i figli in casa, il lockdown ci ha portato abitudini consolidatesi nel tempo delle quali avevamo perso memoria. Un sondaggio Ipsos che prende in esame il tasso di felicità tra gli abitanti del pianeta indica che gli italiani, dal 2019 al 2020, hanno perso un solo punto in percentuale, dal 64 al 63%. Non uno scostamento significativo. E se sottraiamo ai dati statistici coloro i quali sono stati colpiti economicamente dal virus, in particolare professionisti e piccole imprese nel campo del turismo e della ristorazione, una vasta parte della popolazione ha ricevuto benefici dall’organizzazione della propria nuova vita.
Il FT si concentra su alcuni fattori chiave, il primo dei quali riguarda il pendolarismo e la fatica esistenziale che ne deriva. Per moltissimi tra coloro i quali devono viaggiare ogni giorno per recarsi al lavoro la riorganizzazione dell’attività in smart working ha prodotto evidenti benefici: per la prima volta, hanno detto alcune persone intervistate, ho avvertito di poter fare le cose con calma, senza stress e senza pressione del capo o dei colleghi.
Il non dover fare niente di urgente, che è la sensazione riferita dalla gran parte di chi lavora da casa e che restando in casa trae beneficio da una condizione più agiata e meno ansiogena, genera maggiore tranquillità rispetto ai ritmi spesso ossessivi del mondo esterno. Chi non abbia a che fare con la didattica a distanza o debba lavorare in terapia intensiva ha ricevuto in questi mesi il dono del tempo – che è poi, insieme alla salute, il dono più prezioso.
Riconoscere di aver trovato maggiore equilibrio e serenità durante la pandemia non è bello a dirsi e ad ascoltarsi. È facile essere equivocati e tacciati di egoismo. Eppure, in un momento della vita tanto anomalo e inatteso, ciascuno affronta come può il cammino in terra incognita, e se trova luce in mezzo al tunnel non va certo biasimato.
I fortunati che non sono stati sfiorati dal virus hanno riscoperto sensazioni provate durante l’infanzia. Quei pomeriggi a giocare senza orario finché non veniva il buio, il profumo di una libertà assoluta, immersi nella natura sempre amica in qualsiasi forma si manifestasse…
Ora le emozioni non possono essere le stesse, almeno per chi è adulto, ma l’eco di una serenità sconfinata probabilmente arriva. Di qui, da quel legame con uno stato generale di benessere, la disoccupazione di spazi che credevamo perduti per sempre si è ripresentata per inaspettate cause di forza maggiore. E in quegli spazi di nuovo liberi abbiamo avvertito di poterci muovere senza far rumore, trepidando per il timore della malattia e ricostruendo per difesa le nostre piccole routine. Così piccole e fragili, custodi del tempo che ci è dato.
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Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
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