Dopo un 2020 segnato da una sostanziale stabilità (9.998 imprese rispetto alle 9.990 dell’anno precedente), nel 2021 le imprese femminili reggiane hanno ripreso a crescere: al 31 dicembre scorso, infatti, se ne contavano complessivamente 10.172, ovvero 174 in più rispetto allo stesso giorno del 2020. Numeri che hanno portato a quota 18,6% l’incidenza delle imprese femminili sul totale delle realtà imprenditoriali iscritte all’apposito registro della Camera di commercio di Reggio.
Per “imprese femminili” si intendono le imprese individuali con una titolare donna; le società di persone o cooperative nelle quali la maggioranza dei soci è costituita da donne o la maggioranza delle quote di capitale è detenuta da donne; le società di capitali nelle quali la maggioranza dei componenti dell’organo di amministrazione è costituita da donne o la maggioranza delle quote di capitale è detenuta da donne; i consorzi composti al 51% o più da imprese femminili.
La suddivisione per settori è rimasta sostanzialmente invariata rispetto agli anni precedenti, con quasi un quarto delle aziende guidate da donne concentrato nel commercio: in quest’ambito, infatti, si contano 2.474 imprese femminili, con una prevalenza assoluta (1.721 unità) di aziende attive nel commercio al dettaglio.
Al secondo posto, invece, spicca il comparto dei servizi alle imprese, con 1.621 aziende femminili, la maggioranza delle quali (662) nel settore immobiliare; ci sono poi 179 aziende impegnate in attività di supporto per le funzioni di ufficio, 164 che svolgono attività ausiliarie dei servizi finanziari e 150 che sviluppano altre attività professionali scientifiche e tecniche.
Nonostante il segmento dei servizi alla persona risulti soltanto terzo per consistenza nella speciale classifica della presenza femminile nell’imprenditoria reggiana, con 1.441 aziende, è proprio qui che la componente femminile risulta determinante, con una quota del 43% sul totale delle aziende attive nel settore. Un’incidenza rilevante, dunque, che sale al 50% nell’ambito della sanità e dell’assistenza sociale e arriva al 65% all’area “altri servizi alla persona” (dalle lavanderie ai saloni da parrucchieri) sul totale degli operatori che svolgono la stessa tipologia di attività.
Sono buone, inoltre, anche le performance in agricoltura (1.270 aziende guidate da donne) e nelle attività manifatturiere (1.263 imprese femminili, 457 delle quali operanti nel tessile-abbigliamento); anche nei servizi di alloggio e ristorazione la quota rosa è ben rappresentata, con 1.012 imprese registrate.
È rilevante, infine, anche la presenza di imprenditoria femminile straniera, che ha retto bene all’urto della pandemia di coronavirus: nel 2021, infatti, la componente delle imprenditrici non nate in Italia ha guadagnato il 3,7% rispetto all’anno precedente (da 1.703 a 1.766 imprese registrate), confermando il trend in crescita degli ultimi anni. Limitando l’analisi alle imprese individuali, le sole per le quali è possibile individuare con precisione lo Stato di nascita della titolare, i principali paesi di origine delle imprenditrici straniere rimangono Cina, Nigeria, Marocco e Romania.
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Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
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