Il solo titolo meriterebbe l’acquisto di questo libro che tratta di uomini e di paesaggio. Si interroga su «quale sia il posto dell’uomo nella natura». Un tema sempre più pressante, ineludibile sulla carta, che si scontra, invece, con la dura realtà di un mondo che fatica a trovare la strada dell’equilibrio fra sviluppo e sostenibilità con il “creato”. Lopez, in uno dei suoi numerosi viaggi nell’America dell’ovest e in Alaska qui raccontati, giunto al lago Tule – rifugio di fauna e flora protetta situato nella California del nord vicino al confine con l’Oregon – ne osserva la momentanea colonizzazione da parte delle oche della neve, vittime di caccia selvaggia, crudele e “sprecona”. Uccelli migratori provenienti dalle terre eschimesi dello Yukon-Kuskokwim (Alaska occidentale) dove i cacciatori, invece, hanno rispetto delle prede e senso della misura nella caccia.
Una differenza che lo spinge a riflettere sulla «necessità di provare a instaurare col paesaggio un sistema di relazione simile» a quello dei cacciatori eschimesi con le oche delle nevi. Una necessità che dalla caccia si può estendere, più in generale, al rapporto fra sviluppo economico e ambiente, troppo spesso vittima di appetiti meramente economici. Lopez, però, non ci propone la natura come una cattedrale semplicemente da visitare e ammirare. Partendo dal presupposto che l’uomo non è un extraterrestre ma è esso stesso parte della Natura, la civiltà occidentale che ha come simbolo – scrive l’autore nel saggio La saggezza degli uccelli – «l’immagine di Cortés che dà fuoco alle voliere [della città azteca di Tenochtitlàn, l’odierna Città del Messico]» rappresenta non solo la sua «follia distruttiva», ma «rappresenta anche il perpetuo fallimento» della stessa «nel riconoscere il valore intrinseco del paesaggio americano [ma possiamo anche generalizzare senza tema di smentita] e il suo potenziale valore per le società umane, che dalla notte dei tempi cercano di scendere a patti col mondo naturale [corsivo mio]».
Relazione virtuosa tra uomo e paesaggio è il filo rosso che lega tutti i quattordici articoli, redatti tra il 1978 e il 1988; sia che parli del Cavallo di pietra, una scultura di oltre trecento anni fa del popolo Yuma scoperta in un punto volutamente non rivelato del deserto di Sonora, al confine col Messico; sia che discenda in gruppo il fiume Colorado per una gita fra rapide e crepacci del Grand Canyon, motivo di riflessione sulle minacce che questo mondo ha subito a partire dalla diga costruita nel 1963, che ha bloccato il «naturale fluire delle acque nel canyon»; sia che si trovi su un’imbarcazione nel mare artico a studiare l’ambiente marino insieme a biologi, geologi, ornitologi ed ecologisti «al fine di tracciare un quadro completo di questa regione, uno che fra le altre cose sia sufficientemente approfondito da dirigere il processo di ricerca del petrolio e dei minerali al largo della costa sul sentiero meno dannoso possibile». In questo studio integrato – raccontato nel saggio Vita di una foca – è compresa l’uccisione di foche per conoscerne le abitudini alimentari. Un conflitto inestinguibile da cui non si scappa, annota il cronista, ovvero «il conflitto interiore fra l’umana sete di conoscenza e il diritto o meno che abbiamo di saziarla», ma è l’ostinarsi a farlo da soli «come fossimo isole, come se al mondo non esistessero le foche, è una follia»; sia che assista allo spiaggiamento di oltre quaranta balene su una spiaggia dell’Oregon centrale, divenuto una sorta di intreccio fra scienza e spettacolo.
Man mano che si sprofonda nella lettura ci si ritrova magicamente fuori dalla nostra casa di città e, grazie alla sua prosa poetica, con Barry Lopez – scomparso nel 2020 – respiriamo l’«odore del creosoto» e studiamo le «tracce di un animale confuse dal vento» e di tanti altri elementi del territorio, perché è il loro rapporto che «rende comprensibile un paesaggio. Si riesce a comprendere bene un paesaggio non tanto apprendendo e memorizzando i nomi di ciò che contiene, ma percependo la rete di relazioni fra gli elementi che lo compongono, come ad esempio quello fra il passero e il ramoscello. La differenza è la stessa che intercorre fra il resoconto storico e un semplice elenco dei fatti».
E se volete avere un profilo dell’uomo di frontiera, del West, il saggio Cavalcare tori fa per voi (e per me). Termino sulle tracce degli Anasazi, che lasciarono il nord Arizona nel 1150 d.C. e che Lopez racconta in Sulle orme degli antenati.
PS. Ho fatto poi un gioco: ho cercato di aggiornare le informazioni, vecchie ormai di oltre trent’anni, navigando nel Web, fatelo anche voi.
(Barry Lopez, Attraverso spazi aperti, traduzione di Sara Reggiani, Black Coffee, Firenze 2021, pp. 204, 16,00 euro – recensione di Glauco Bertani).
Si ringrazia la Libreria del Teatro, via Crispi 6, Reggio Emilia
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Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
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