Nonostante le piogge e le nevicate degli ultimi giorni, in Emilia-Romagna lo scenario regionale continua a presentare due facce opposte: se da una parte la diga di Ridracoli, in Romagna, è vicina al colmo e gli Appennini sono coperti da una coltre bianca, dall’altra invece non si placa la grave crisi idrica che sta imperversando da mesi sul territorio della provincia di Piacenza, con i volumi d’acqua trattenuti nelle dighe e le portate di fiumi e torrenti nettamente inferiori alla media.
“Visti i valori attuali, addirittura peggiori rispetto a quelli del 2022, la preoccupazione è alta e quindi non posso che raccomandare alle imprese agricole la massima prudenza nella programmazione dei piani colturali, soprattutto se sprovvisti di fonti alternative come pozzi o vasche aziendali”, ha spiegato il presidente del Consorzio di bonifica di Piacenza Luigi Bisi.
Negli invasi di alta val Tidone (Molato) e di Vernasca (Mignano) mancano complessivamente 3,8 milioni di metri cubi d’acqua rispetto alla media degli ultimi dieci anni, nonostante il fatto che nel 2021 e nel 2022 non siano state effettuate le procedure di svaso. La diga del Molato oggi trattiene un volume idrico di soli 337.000 metri cubi (il 4,4% del volume autorizzato), a fronte di una media di oltre 3 milioni di metri cubi nei mesi di gennaio dell’ultimo decennio. La diga di Mignano, invece, conserva poco più di 4 milioni di metri cubi d’acqua (il 41,6% del volume autorizzato), rispetto a un volume medio negli ultimi dieci anni pari a oltre 5 milioni.
Nel frattempo la portata del fiume Po a Piacenza (332,38 metri cubi al secondo) si è attestata sotto il minimo storico mensile, e sono in forte deficit idrico anche il fiume Trebbia (con una portata di 15,48 mc/s, molto inferiore alla media storica di 24,10 mc/s) e il torrente Nure, che ha fatto registrare una portata praticamente dimezzata (2,78 mc/s) rispetto alla media consueta di questo periodo dell’anno (5,56 mc/s).
“Di fronte a questa fase anomala e preoccupante, è importante che si inizino a concertare le soluzioni più adeguate per aumentare la resilienza dei territori, nel caso in cui la situazione idrica non andasse migliorando”, ha suggerito Francesco Vincenzi, presidente dell’Anbi (Associazione nazionale dei consorzi per la gestione e la tutela dei territori e della acque irrigue).
La disponibilità d’acqua per l’irrigazione, ha aggiunto il direttore generale di Anbi Massimo Gargano, “non condiziona solo l’agricoltura, ma l’economia agroalimentare del territorio: pomodoro e mais sono il volano dell’economia primaria piacentina. Per questo, insieme all’efficientamento delle reti irrigue esistenti e all’ampliamento degli schemi idrici è prioritario aumentare la capacità di stoccare acqua, quando arriva, per distribuirla quando serve. Dei 223 progetti già cantierabili previsti dal Piano Laghetti in tutta Italia 40 sono ubicati in Emilia-Romagna, per un incremento di capacità complessiva pari a oltre 102 milioni di metri cubi, che possono assicurare irrigazione ad altri 68.367 ettari di campagna. La multifunzionalità di tali bacini garantirà inoltre la posa di 57 impianti fotovoltaici galleggianti (potenzialità 97.430.000 Kw/anno) e la realizzazione di 12 centrali idroelettriche, per una produzione stimata annualmente in 933.040 kilowattora”.
Un’ulteriore proposta è arrivata dal presidente del Consorzio di bonifica di Piacenza Luigi Bisi: “Una buona pratica che la Regione Emilia-Romagna dovrebbe favorire, compatibilmente con le esigenze della salvaguardia idrogeologica, è quella di far circolare l’acqua nel reticolo secondario anche in inverno per ricaricare le falde, tenendo vivo l’ambiente ecosistemico”.
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Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
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