E’ in libreria e negli store digitali “AMORE, MORTE E ROCK ‘N’ ROLL” – LE ULTIME ORE DI 50 ROCKSTAR: RETROSCENA E MISTERI (Hoepli), il nuovo libro dello scrittore e giornalista musicale, Ezio Guaitamacchi, da alcuni definito lo “Sherlock Holmes del rock’n’roll”, dedicato agli ultimi istanti di vita di diverse icone del rock.
Dall’inquietante “faccia a faccia” tra James Taylor e l’assassino di John Lennon poche ore prima dell’agguato al Dakota Building, al mistero dei tre testamenti di Aretha Franklin.
Un volume – con le prefazioni di Enrico Ruggeri e di Pamela Des Barres (una delle groupie più iconiche negli anni Sessanta e Settanta) – che raccoglie le storie delle ultime ore di 50 stelle del rock, raggruppandole per tipologia di “crimine”.
Partendo dalla prefazione firmata dal cantautore che illustra come dietro alle vite all’apparenza straordinarie di molte rockstar si nasconda un forte dramma personale, Ezio Guaitamacchi – decano del giornalismo musicale, autore e conduttore radio/tv, scrittore, docente e performer, direttore di due riviste specializzate e di varie collane di libri, nonché autore di una ventina di titoli sulla storia del rock, amante del “dark side” del mondo della musica – ha voluto in questo nuovo libro spingersi oltre, raccontando come le ultime ore di vita di queste leggende della musica, siano spesso intrecciate con i loro grandi affetti e come la mancanza dei medesimi possa essere, a volte, un killer spietato.
Ezio, sebbene faccia riflettere e sia un numero incredibilmente alto, considerando come tu abbia dettagliatamente analizzato ogni “caso”, non sarà stato facile selezionarne 50. Da cosa sei partito, o come sei arrivato ad individuare i macrotemi con cui hai suddiviso i capitoli del libro?
<<Il primo criterio che adotti parlando di un saggio, è solitamente quello cronologico. E’ la tua bussola, ti serve per orientarti. In questo caso, però, ho voluto trovare qualcosa di diverso e, anche se suona un po’ macabro, ho pensato alle cause di morte che raggruppavano le diverse storie che volevo raccontare. Sembrava un criterio interessante, ero solo un po’ scettico sulla forma. Per quello, come spesso mi è successo in passato, sono stati i titoli delle canzoni a salvarmi la vita: ho scelto dei titoli di canzoni famose che fossero abbastanza esplicite da dare al lettore l’idea di cosa stessi parlando.
Selezionare le storie è stato dettato dall’attualità, perché ogni giorno purtroppo ci racconta che qualcuno dei nostri eroi se n’è andato: ho cominciato dando spazio a tutti i grandi personaggi che ci hanno lasciato negli ultimi dieci anni.
E’ da un bel po’ che mi cimento in questo difficile equilibrismo tra le morti delle rockstar e il racconto delle loro ultime ore, con tanto di misteri annessi, e questa volta ho voluto farlo in modo più originale. Sono storie a volte anche già conosciute – vedi l’omicidio di Lennon, di cui si è parlato moltissimo in questi giorni per via dell’anniversario della morte, ma io cercato di raccontarlo dagli occhi e con le parole di Yoko Ono.
Così ho fatto per tanti casi. Addirittura, nell’ultima sezione del libro, quella che porta il titolo di un brano di Bruce Springsteen, “Blood brothers”, racchiudo i destini incrociati di personaggi che magari non si sono nemmeno conosciuti in vita, ma che è stata proprio la morte (quasi) ad unire: quello più emblematico è il caso di Elvis e di Michael Jackson, che diventano addirittura parenti post mortem (per Elvis), perché ad un certo punto Michael Jackson sposa, seppur per breve tempo, la figlia di Elvis.
Ho cercato delle chiavi innovative, che potessero attualizzare – e senza rovinare la chiave narrativa – storie anche molto vecchie per le quali sono emersi nuovi particolari nel corso degli anni: ho optato per aggiungere al termine del racconto dei box di approfondimento su curiosità, misteri, dubbi, crisi alternative>>.
Circostanze drammatiche, coincidenze inverosimili, eventi imprevedibili. Ecco, in queste storie incredibili si mescolano mille emozioni; momenti di tensione e di commozione, tragedie enormi e amori infiniti. Hai trovato un file rouge, un comune denominatore tra tutti?
<<Sì, l’ho trovato io ma anche Enrico Ruggeri, che nella prefazione del libro parla della fragilità degli artisti (di quelli di cui parla il libro, ma anche di quelli in vita) e della difficoltà di trovare un equilibrio tra il trionfo pubblico e il fallimento nella vita privata.
Un altro luogo comune – secondo me, vero più per quanto riguarda il privato che per quanto riguarda il lato pubblico di questi artisti – è l’egoismo, caratteristica comune di chi ha l’arte come professione e in particolare la musica. Peculiarità che viene sicuramente subita da chi è moglie marito, fratello, padre, figlio, o anche semplicemente amico di questi personaggi.
Il rovescio della medaglia, però, se ci pensiamo bene, se pensiamo che fino all’ultimo respiro hanno voluto fare questo – e me lo ha sottolineato anche l’altra prefattrice, la mia amica Pamela Des Barres, una che questi artisti li ha conosciuti da vicino – e riflettiamo sulla loro dedizione totale, sul loro immergersi compiutamente nella propria arte, alla fine diventa un grande benefit per noi ascoltatori, fruitori, fan. Ci sono nei miei racconti dichiarazioni di qualcuno che ha parlato con Aretha Franklin che prima di entrare in coma chiedeva al suo produttore a che punto fossero con la lavorazione del brano; o Bowie stesso che parlava con Tony Visconti e che diceva che aveva registrato cinque demo e voleva addirittura fare un uovo album.
Insomma, la parola ‘amore’ non è stata scelta solo per fare rima con “sesso, droga e rock ‘n’ roll”, ma in quanto testimonianza, come presa di coscienza che la morte, in qualche modo, è la certificazione dell’amore che noi provavamo per la persona che se n’è andata. Che il dolore che proviamo è direttamente proporzionale al bene che abbiamo voluto.
Molte di queste star, soprattutto negli ultimi momenti, mi hanno fatto capire quanto importanti siano state le relazioni d’amore stabili che loro hanno avuto in vita e che, nel momento del trapasso, hanno fatto diventare questi giganti molto più simili a noi.
Semidei che concludono la loro vicenda, come tutti noi, con il bisogno di sentimenti veri; o che, come tutti noi hanno bisogno d’amore e se paradossalmente l’amore non c’è, si crea un vuoto che in alcuni casi diventa quasi complice delle loro fini tristi e malinconiche: Amy Winehouse, Janis Joplin, Whitney Houston, George Michael e tanti altri. E questo non è solo un file rouge, ma è una parte integrante di tutti i racconti che ho fatto>>.
Le storie raggruppate per tipologia di “crimine”, documentate con puntualità e rigore giornalistici; poi le curiosità, gli aneddoti, le immagini a corredo, i box di approfondimento, le canzoni che fanno da “colonna sonora” ai racconti; rendono queste 360 pagine davvero godibili.
C’è comunque un fatto, un retroscena, che ti continua a lasciare a bocca aperta anche dopo averlo approfondito e raccontato?
<<Ci sono tante storie che mi hanno toccato ed emozionato. Ripensando alla fine di Lou Reed e Laurie Anderson – che ho conosciuto e che ho sempre considerato una coppia stranissima – e alla percezione distorta che noi abbiamo di un personaggio ostico, con un caratteraccio, difficile da gestire, totalmente in contrapposizione a quanto lei mi raccontava che fosse: una persona molto dolce, affettuosa; il che è paradossale, pensando ad un uomo che ha cantato di eroina, del lato selvaggio della vita e che quando è stato il momento, ha chiesto di essere portato proprio lì, dove aveva trascorso gli ultimi anni con Laurie, ad Hamptons, nella punta estrema di Long Island, in prossimità dell’acqua, tra le onde dell’oceano, facendo la forma dell’acqua secondo il Thai Chi, l’arte marziale di cui lui era super appassionato.
O ancora, la storia d’amore tra Leonard Cohen e la sua amata Marianne (Ihlen), la ragazza che nell’isola greca di Idra gli aveva ispirato tante canzoni e con cui visse una bellissima storia d’amore. Si ricongiungono 60 anni dopo, entrambi in punto di morte, colpiti dallo stesso male, la leucemia, e si ritrovano come quell’amore non fosse mai finito, nonostante ognuno di loro avesse vissuto la propria vita con le famiglie reciproche.
Sono grandi artisti, quelli che sono riusciti a cantare le varie fasi della vita, addirittura confrontandosi con la morte, lo stesso Bowie ha fatto della morte quasi una rappresentazione teatrale: ascoltare “Blackstar”, guardare il video di “Lazarus”, ancora oggi fa venire i brividi, pensando poi al contesto nel quale è nato, concepito, registrato e poi pubblicato l’album.
Aldilà delle coincidenze surreali, dei misteri di molte di queste morti e dei dubbi e sulle indagini sgangherate, per come sono fatto io sono rimasto più colpito da queste, che sono forse “morti più dolci”, che aumentano la stima e il rapporto di affetto con tutti questi personaggi e le cui opere, indipendentemente dalla loro vita privata, sono immortali>>.
Fatto salvo che sia comunque e sempre un’emozione, è quindi più affascinante raccontare le grandi gioie, o i dolori più profondi delle star?
<<Io ho cercato di raccontare entrambi. Non ho né la presunzione di trovare la verità. Dipende ovviamente dalla storia e certe vanno inevitabilmente raccontate in un modo, piuttosto che in un altro; ma c’è comunque e sempre una contrapposizione di opposti: in ogni storia buia puoi trovare dei raggi di luce, così come in ogni storia luminosa puoi trovare delle ombre inquietanti.
Aldilà dell’approccio scandalistico e delle storie spesso allucinanti, io parlo di musica e di musicisti e ho sempre cercato di trovare un altro tipo di chiave narrativa: il mio obiettivo è quello di fare avvicinare il lettore a queste vite con il compendio sonoro ideale alla lettura. Per questo in calce ad ogni vicenda, suggerisco i pezzi da scoprire, da ascoltare>>.
La tua, è un’attenta riflessione sui valori che hanno simboleggiato le generazioni precedenti: successo ed eccesso, ma anche dedizione e formidabile qualità del patrimonio lasciatoci in eredità. Qual è il valore di questa contropartita?
<<E’ anche per questo che del privato di questi artisti dovrebbe interessarci poco. Poi se hanno fatto cose criminose verranno giudicati in quanto tali. Ti racconto una storia che racconto raramente.
Tutta questa vicenda di questo mio incrocio tra il mondo della musica ha dei riflessi di giallo.
Una ragazza che avevo conosciuto e di cui ero diventato amico, Lana Clarkson, rimane vittima di un caso clamoroso: viene ammazzata da Phil Spector, leggendario produttore nella storia del pop-rock, nel momento in cui la sua stella si era offuscata, ma che non si rassegnava a vivere da superstar. La mia amica che faceva l’attrice ma non era riuscita a sfondare ad Holliwood aveva trovato un lavoro come hostess alla House of Blues, la famosa catena di locali americana lanciata da Dan Aykroyd. Una sera arriva Phil Spector con la su Rolls. Lei non aveva smesso di coltivare il proprio sogno, lui la invita, la porta a casa e di fatto l’ammazza.
Viene imprigionato e in prima battuta scagionato sulla parola, grazie a cauzioni milionarie e ad avvocati potentissimi, poi condannato ed oggi all’ergastolo. Ciò detto, nonostante nella vita privata questo sia stato un bastardo e un assassino, nella musica ha fatto grandi cose: se uno mi chiedesse un giudizio di Phil Spector non potrei dare un giudizio negativo perché ha ucciso la mia amica. Lo giudicherei come artista – l’uomo è un’altra cosa, giustamente condannato per il crimine commesso – ma rimane un grande produttore.
Se le porcherie che fai nel privato non hanno una correlazione diretta con la tua produzione, trovo sbagliato radere al suolo la carriera artistica di qualcuno, come successo nel cinema con Kevin Spacey, o con Brad Pitt; o nello sport con Maradona. La dicotomia tra l’aspetto pubblico e privato va sottolineata>>.
Dimmi, fuori dai denti, cosa pensi della musica di oggi? Perché sembra non essere destinata a lasciare traccia di sé?
<<Perché è cambiata la funzione della musica negli anni. Chiamala come vuoi, ma io chiamo “Rock” la musica che ha avuto un obiettivo prevalentemente artistico e “Pop”, quella con un obiettivo prevalentemente commerciale. Bene, quella che ha avuto un obiettivo artistico ha avuto una funzione fenomenale fino a 10, 15 anni fa. Aveva una forma identitaria: noi, ragazzi degli anni ’70, ci immergevamo in quella musica, in quei personaggi, in quelle storie; ci vestivamo uguali, ci trovavamo tra di noi per ascoltare i dischi, per parlare di quella cosa lì. Noi, che eravamo alla periferia dell’impero, lo abbiamo vissuto veramente. Questa cosa oggi non c’è più, oggi la musica ha un altro tipo di funzione, di intrattenimento, a volte – e per fortuna – di comunicazione e di significatività e quindi cambia tutto.
L’unica forma musicale che mantiene questa forma – e ti lascio immaginare quanto io possa essere lontano dal genere, anche solo dal punto di vista generazionale, è la “trap”, che poi bisogna vedere ora che è diventata mainstream se manterrà questa coerenza, o se diventerà evanescente.
Oltretutto, la sfortuna di molti artisti bravissimi è proprio data dall’anagrafe: finché sono in vita i grandi maestri (alcuni io li ho raccontati, altri spero di arrivare a raccontarli il più tardi possibile), è difficile. Ma è difficile per Ben Harper, per citare qualcuno a cui voglio bene e sulla cui qualità musicale non si discute; figuriamoci come possa essere per i simpaticissimi Greta Van Fleet, che vivranno con lo spettro dei Led Zeppelin finché esisteranno.
Quella musica è stata una delle forme di espressione artistica più sensazionali della storia dell’uomo: un vero e proprio rinascimento, con valori che ci hanno portato a vivere cose che oggi sono considerate normali, ma che sono arrivate nel mondo contemporaneo proprio grazie a questa roba qui. Il Premio Nobel a Bob Dylan ne ha certificato il valore artistico assoluto e tra mille anni magari i Beatles, i Pink Floyd, Springsteen, gli U2… saranno considerati alla stregua di Shakespeare, di Beethoven, di Picasso, o delle più grandi eccellenze artistiche della razza umana>>.
L’opera è illustrata da Francesco Barcella, illustrazioni strepitose, con uno stile personale molto rock: come lo hai individuato?
<<E’ un giovanissimo illustratore uscito da una scuola milanese che ho conosciuto grazie ad un’altra collana che ho seguito tempo fa. Bravissimo e anche simpatico: lo chiamo affettuosamente Zorro, perché il suo nome d’arte è Don Diego de la Vega, che sarebbe il vero nome di Zorro quando non si mette la maschera. Avevo bisogno di rendere questo libro ancor più particolare e il suo tratto mi piaceva: lui è l’autore anche dell’illustrazione usata in copertina, oltre naturalmente a quelle delle aperture di tutte le sezioni>>.
Hai detto che «Se la vita di una rockstar è fuori dall’ordinario, la sua fine così come i suoi grandi amori riportano questi personaggi “stellari” al rango di esseri umani>>.
Immagino che anche la tua sia una vita fuori dall’ordinario. Hai mai pensato a come ti piacerebbe che finisse, dovessi un giorno romanzarla?
<<Francamente non ci ho mai pensato. Non sono il tipo che ha già in mente l’epitaffio sulla lapide, anche se ogni tanto ricordo di portarmi un fiorellino giallo sulla tomba, che è da sempre il mio colore preferito. L’unica cosa vagamente consolatoria, nel mio piccolo, è che tra libri, programmi televisivi, cattedra, qualcosa lo lascio; non sarà una scomparsa totale. Le mie opere non sono confrontabili con quelle di questi personaggi, ma nemmeno con quelle di tanti altri artisti, sia come impatto che come valore assoluto, ma sono state la mia vita, che mi sono scelto e che ho avuto la fortuna di fare e che proprio grazie a questi artisti è stata una vita significativa. Ecco, il rock non me l’ha salvata, ma me l’ha resa molto migliore. Ed è l’augurio che faccio a tutte le nuove generazioni: riuscire a fare della propria passione la propria professione, anche se dovesse complicare la vita privata. E’ un grande risultato e fa vivere bene, senza rancore, che ne abbiamo già troppo, visto che la vita è questa cosa qui: io la definisco, uno slalom speciale in salita. Ti posso solo dire, che per come ho strutturato la mia vita, pensione non è prevista, quindi andiamo avanti fino alla fine, continuando a fare con la stessa passione quello che abbiamo sempre fatto>>.
Ultimi commenti
Anche l' Ordine degli Avvocati di Reggio Emilia .
Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
Diranno, sia a sinistra che a destra, che c'è un disinteresse della politica, in particolare dei giovani, diranno che molti non votano perché pensano che, […]