“Un evento senza precedenti nella storia osservata”: è questa, in sintesi, la conclusione a cui è giunta la commissione tecnico-scientifica incaricata dalla Regione Emilia-Romagna (prima della nomina del generale Figliuolo a commissario straordinario per la ricostruzione) di stilare un rapporto sugli eventi meteorologici estremi dello scorso maggio e sulla conseguente alluvione.
Un evento che per portata, intensità e vastità del territorio interessato non ha precedenti nel passato, almeno da quando – nel 1921 – si sono iniziati a raccogliere i dati idrologici, con una “maggiore severità anche rispetto all’alluvione del 1939”: per la commissione si è trattato di “uno spartiacque tra passato e futuro nel settore della difesa idraulica e idrogeologica del territorio”.
A mettere tutto nero su bianco, con un’ampia e articolata comparazione dei dati disponibili, sono stati i professori Armando Brath (Università di Bologna, coordinatore), Nicola Casagli (Università di Firenze), Marco Marani (Università di Padova), Paola Mercogliano (Cmcc, Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici) e Renzo Motta (Università di Torino).
Delle quasi 150 pagine del documento (che si può scaricare qui), ben 98 sono dedicate all’analisi puntuale di quanto accaduto: 23 fiumi esondati contemporaneamente, per un volume di esondazione stimato in circa 350 milioni di metri cubi di acqua (pari a circa undici dighe di Ridracoli) che ha provocato allagamenti in pianura su circa 540 chilometri quadrati di territorio (distribuiti pressoché nell’intera area romagnola, con interessamento anche della regione in destra del fiume Reno e, per il primo dei due eventi, anche dei bacini dei fiumi Panaro e Secchia). E poi l’incredibile numero di 65.598 frane (scivolamenti rapidi in terra o detriti, colate di fango, scivolamenti in roccia) censite su un’area di 72,21 chilometri quadrati, 1.950 infrastrutture stradali coinvolte da dissesto (il 3,6% dell’intero reticolo stradale delle sei province colpite, di cui il 36,2% delle strade comunali, il 35,7% di quelle vicinali a uso pubblico e il 18,5% di quelle private).
Secondo gli esperti i “tempi di ritorno” (grandezza statistica che esprime la probabilità che un evento accada) in alcuni casi sono “molto superiori ai 500 anni”, specialmente dove le esondazioni sono state più significative. Si parla in questo caso soprattutto dei bacini di Senio, Lamone e Montone, con un ruolo decisivo della rete artificiale di scolo presente in pianura (reticolo di bonifica e Canale Emiliano-Romagnolo) che ha inciso sulla dinamica di propagazione delle inondazioni.
Ancora più alta, quasi inestimabile e nell’ordine di qualche migliaia di anni, la probabilità che accadano eventi come quello del 2-3 maggio e quello del 16-17 maggio scorsi: e proprio il susseguirsi dei due eventi ha portato alle ben note conseguenze, dal momento che i terreni erano già saturi e avevano impermeabilizzato i suoli che non riuscivano più a ricevere altra acqua.
Elementi e considerazioni che, in vista della ricostruzione, consigliano, anziché una semplice riproposizione di modelli di intervento tipici del passato, di sviluppare percorsi di approfondimento tecnico-scientifico per implementare nuove modalità di intervento e agire su più fronti, con interventi sia strutturali che non strutturali.
“Abbiamo affrontato qualcosa di difficilmente immaginabile”, ha sintetizzato la vicepresidente della Regione con delega alla Protezione civile Irene Priolo: “Ce lo dice anche la commissione esterna, di elevato profilo tecnico-scientifico, che abbiamo incaricato di effettuare valutazioni specifiche e qualificate sull’evento di maggio, per aggiornare il quadro conoscitivo e fornire indicazioni per una futura corretta gestione del rischio idraulico e idrogeologico in regione”.
“Quello che la commissione ci restituisce – ha aggiunto Priolo – è un’elevata complessità che non potrà essere affrontata con un’unica soluzione: approfondiremo le indicazioni contenute in questo rapporto per la pianificazione degli interventi futuri e utilizzeremo queste preziose indicazioni tecniche per impostare la ricostruzione. L’apporto della comunità scientifica è fondamentale, tenendo conto anche dell’orizzonte in cui ci muoviamo, e su cui impattano pesantemente i cambiamenti climatici. Comprendere bene gli eventi e cosa hanno significato era necessario per aiutarci a individuare le scelte corrette di fronte a un evento così complesso. Bisogna cambiare paradigma rispetto all’approccio tradizionale alla luce di statistiche completamente stravolte”.
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Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
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