A Novellara la mostra “Arte e vita”: le scienze spiegate con i linguaggi dell’arte

Marco Ruini mostra Arte e Vita Novellara

All’ex Macello di Novellara, un luminoso spazio che l’amministrazione locale ha appena aperto al pubblico dopo un lavoro di ripristino e rivalorizzazione che esalta la struttura con un design di interni di sapore industriale, è allestita – fino a domenica 2 marzo – la mostra “Arte e vita”, con le opere pittoriche di Marco Ruini: finalmente riunite, almeno nella sua produzione più recente, salvo un paio di tele degli anni Settanta e Ottanta, in un unico percorso in cui accurate – per quanto sintetiche – tavole descrittive aiutano lo spettatore a una lettura più approfondita delle opere in esposizione.

Della “superficie visiva” di queste grandi tele – mostrate assieme a una parte dei bozzetti preparatori, di più piccole dimensioni – colpiscono la vivacità cromatica dei soggetti e degli ambienti, una certa fantasiosa capacità visionaria con cui le cose più strane sembrano poter convivere le une accanto alle altre e, infine, una delicatezza giocosa e vibratile che riesce a tradurre in bellezza anche creature tutt’altro che consuete nei canoni estetici.

C’è infatti un messaggio più profondo, sicuramente più urgente, che è quello che muove questo poliedrico autore ad affiancare da una vita alla sua attività di neurochirurgo quella dell’arte. Direttore del centro medico Anemos di Reggio e dell’omonima rivista trimestrale con cui, insieme a una redazione di professionisti dagli ambiti più diversi, cerca di rendere commestibile ai più un argomento complesso come è quello delle neuroscienze e del cervello umano, in un’ottica interdisciplinare e sempre aperta al dubbio.

Ruini scrive, nel testo presente a inizio mostra, di come la scienza e l’arte abbiano punti di contatto inconfutabili e che, anche per l’auspicio che tornino a dialogare in compagnia delle altre discipline, affida al linguaggio figurativo delle sue tele il compito di contribuire a renderne più facili i contenuti.

Ci sono temi di carattere sociale, come “Il giardino del privilegio”, già esposto nell’atrio dell’Università di Reggio un paio di anni fa: una dichiarata presa di posizione sulle distanze che nella storia, fino ai giorni nostri, hanno segnato confini e differenze tra le persone e che, nonostante l’abbondanza di delicate presenze botaniche e i toni madreperlacei a sfondare l’orizzonte, non risparmia nulla a quei privilegi che nella storia sono passati spesso inosservati. Ne “La bellezza della fragilità”, invece, c’è un paesaggio osteoporotico in cui gli equilibri di sopravvivenza precari degli strani personaggi che lo abitano, quasi tutti modificati o ibridi nella loro fisicità, sembrano bilanciati da una sottesa gratitudine alla vita e al farne, nonostante tutto, parte.

L’arte non solo come ricerca estetica, dunque, ma neppure solo come strumento di utilità sociale: le opere in mostra possono essere lette come un vero e proprio compendio illustrato di prospettive scientifiche, dal “Mare misterioso” in cui si affastellano una serie di specie incredibili, eppure che parlano di profondità sconosciute ma possibili, all’intarsio di “Chimere di fiori e conchiglie”, in cui l’ingegneria genetica, che qui sembra capace di invenzioni fantastiche, viene invece presentata come reale possibilità di modificazione di quanto conosciamo nel mondo vegetale e animale.

Fragoroso, con quel vulcano in esplosione al centro a contrastare la serenità di un regno acquatico popolato di piante-cervelli e di conchiglie, funghi e pietre che sembrano diamanti ma che spuntano tra foglie e arbusti, il quadro “Evoluzione”, a ricordarci che “non siamo più al centro dell’universo e anche sulla Terra siamo gli ultimi arrivati e siamo il risultato di continue mutazioni che, a ritroso, riportano tutti gli esseri viventi a un progenitore comune”. Sulle orme di Darwin, come uno scienziato di inizio Ottocento, Ruini dipinge il “Florilegio dell’Antropocene”, un intricato giardino di vegetali nati da un immaginario antico che incontra quello più avveniristico di un futuro in cui la modificazione porta a cervelli che spuntano da cavoli e orchidee che sembrano animati.


Che la scienza si possa avvalere dell’arte per diventare dialogo condiviso è ribadito anche nella programmazione a margine della mostra: arricchita dalla trasposizione di Samuele Huynh Hong Son di due tele in un’animazione digitale in cui i personaggi e gli ambienti dei quadri prendono vita, in un movimento fluttuante e strabiliante, e dalle poesie di Ruini stesso, che giovedì 27 febbraio alle 20.45 vengono presentate in due libri, uno dei quali illustrato dall’artista Maria Pellini col suo segno seducente e istintivo. I volumi, “Il linguaggio del mondo” e “Attesa di qualcos’altro” (Consulta editrice, 2025), saranno presentati dai due autori, accompagnati da Mario Pavesi e da Elisa Pellacani, che ne ha curato la veste editoriale.

La chiusura, poi prevista per sabato mattina, vede gli artisti Pavesi e Daniele Vezzani in un confronto con Ruini e Veronica Riccò sul tema della funzione del museo e il collezionismo.



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