“Felice l’artista che nasce dopo morto”, confidò Antonio Fontanesi a un suo allievo. E la mostra “Antonio Fontanesi e la sua eredità. Da Pellizza da Volpedo a Burri” che Reggio Emilia propone dal 6 aprile al 14 luglio a Palazzo dei musei, a duecento anni dalla nascita dell’artista, è un po’ la storia di una “resurrezione” artistica.
Virginia Bertone, Elisabetta Farioli e Claudio Spadoni, curatori della rassegna, si sono posti infatti l’obiettivo di guidare il pubblico alla riscoperta di questo protagonista della pittura dell’Ottocento italiano ed europeo e di documentare la fortuna di Antonio Fontanesi dopo la sua morte: l’influenza che la sua pittura ha avuto negli artisti che dopo di lui si sono riconosciuti nel suo particolare approccio alla natura e al paesaggio, ma anche i suggestivi ‘tramandi’ dell’esperienza romantica che la critica ha voluto ritrovare nell’arte degli anni Cinquanta. Interprete impareggiabile del paesaggio nelle novità del suo tempo, uomo inquieto nella vita e innovativo sperimentatore nell’arte, fu infatti tra i più intimamente partecipi al movimento romantico europeo e la sua eredità artistica si inoltra nel Novecento, culla della modernità, ed è leggibile sino alla fine del Secolo breve.
“Si tratta di una delle più importanti operazioni culturali impostate nella nostra città negli ultimi anni – ha detto oggi il sindaco di Reggio Luca Vecchi illustrando la mostra alla stampa – Ed è espressione della nostra volontà di celebrare con una retrospettiva questo importante artista con quell’approccio innovativo che caratterizza i nostri Musei. La mostra segna un altro passo avanti per i musei che dal 2013 sono stati protagonisti di passaggi che ne hanno ulteriormente elevato il prestigio storico, grazie alla capacità di tenere insieme tradizione e innovazione in mostre calate sulla contemporaneità e grazie al forte legame con la didattica e le scuole”.
Oltre al sindaco sono intervenuti anche i curatori della mostra Elisabetta Farioli e Virginia Bertone che ne hanno illustrato lo sviluppo e spiegato le varie connessioni storiche tra l’opera di Fontanesi e quella degli artisti che ne hanno raccolto l’eredità.
Promossa dai Musei civici di Reggio Emilia, in collaborazione con la Fondazione Torino Musei-Galleria d’arte moderna e la Galleria d’arte moderna Ricci Oddi di Piacenza, la mostra è realizzata in partenariato con la Regione Emilia-Romagna – Istituto per i Beni artistici culturali e naturali, la Fondazione Manodori, Destinazione Turistica Emilia, Unioncamere Emilia-Romagna, Camera di commercio di Reggio Emilia, Apt Servizi, col contributo Art Bonus di Car Server, Credem, Iren.
Nella mostra, i dipinti di Antonio Fontanesi provenienti da importanti musei e collezioni italiane saranno posti a confronto con le opere degli artisti che la critica ha collegato con la sua produzione, individuandone possibili motivi di ispirazione in un arco cronologico che dagli anni Ottanta dell’Ottocento arriva fino agli anni Sessanta del Novecento.
Saranno documentati i rapporti con la cultura simbolista e divisionista attraverso opere di Vittore Grubicy, Leonardo Bistolfi, Giuseppe Pellizza da Volpedo, Angelo Morbelli ma anche la sua ripresa negli anni Venti ad opera di Carlo Carrà, Felice Casorati, Arturo Tosi. L’ultima sezione sarà dedicata alle interessanti interpretazioni critiche degli anni Cinquanta di Roberto Longhi e poi di Francesco Arcangeli. Quest’ultimo infatti, nell’individuare una continuità tra la concezione moderna dell’arte e la grande tradizione ottocentesca, inserisce Fontanesi nell’evoluzione di un naturalismo che nel dopoguerra arriva a Ennio Morlotti, Mattia Moreni, Pompilio Mandelli spingendosi fino alle ricerche materiche di Alberto Burri.
LE SEZIONI DELLA MOSTRA
L’incipit dell’esposizione è dedicato “all’ora più buia” della vita di Antonio Fontanesi, l’insuccesso che nel 1880 accompagnò l’esposizione a Torino del grande dipinto “Le nubi”, testamento pittorico in cui l’artista aveva profuso tutto il suo impegno. Gli ultimi anni della sua vita (l’artista muore a Torino nel 1882) sono quindi amareggiati da incomprensioni e difficoltà.
1) L’ALBA DI FONTANESI: 1901, BIENNALE DI VENEZIA è il titolo della prima sezione che dà conto della grande riscoperta di Fontanesi da parte della critica e del pubblico in occasione della mostra a lui dedicata alla Biennale veneziana del 1901, contemporanea alla pubblicazione che nello stesso anno gli dedica il suo allievo Marco Calderini, tuttora prezioso strumento di conoscenza dell’evoluzione della sua arte e delle complesse vicende della sua vita.
Allestita nella grande ala centrale dell’ultimo piano di Palazzo dei musei, la sezione restituisce, attraverso la presenza dei grandi capolavori dell’arte fontanesiana già esposti a Venezia e ora recuperati da importanti musei e collezioni italiane, l’intero percorso della sua pittura.
Dopo il fondamentale viaggio a Parigi del 1855, l’artista abbandona definitivamente il ‘vedutismo’ e la pittura finita dei primi anni svizzeri e avvia la sua personale ricerca sul vero, sempre intenta a cogliere “il sentimento della natura”. Se ne “La quiete” sono ancora espliciti i riferimenti a Corot, con l’avanzare degli anni Sessanta la sua ricerca si fa più complessa nella ricerca di motivi che gli consentono l’accentuazione del rapporto luce/ombra anche in chiave simbolica come in “Altacomba” e nell’adozione di un linguaggio pittorico sempre più libero che trasfigura i suoi paesaggi in una dimensione anche drammatica (“Bufera imminente”).
2) LA SCIENZA DEL COLORE: 1892 – 1915, LA RISCOPERTA DEI DIVISIONISTI
La seconda sezione (con straordinarie opere di Giuseppe Pellizza da Volpedo, Vittore Grubicy de Dragon, Angelo Morbelli) mostra come i primi ad accorgersi della rinnovata attualità di Fontanesi siano stati gli artisti. Attestazioni di interesse e stima per la sua pittura sono riscontrabili tra gli artisti più innovatori già a partire dagli anni Novanta: Vittore Grubicy ribadisce il suo interesse anche attraverso la sua attività di critico, Giuseppe Pellizza da Volpedo schizza “Novembre” sulla sua copia del catalogo della Promotrice torinese del 1892, Angelo Morbelli, a proposito della teoria della “divisione del colore” sosterrà che essa fu praticata “un po’ più per scienza, dal Fontanesi”. Se da un lato gli artisti riconoscevano nel maestro di Reggio un precursore della tecnica divisionista, la sua pittura ben si adattava a essere interpretata alla luce della nuova concezione del paesaggio come “stato d’animo”.
3) NUMERO, ORDINE, MISURA: 1922 – 1932, LA RILETTURA DI CARRÀ
Carlo Carrà, nel testo della monografia che dedica a Fontanesi nel 1924, individua nella sua arte i concetti di “numero”, “ordine”, “misura”, la stessa formula che Felice Casorati adotterà come motto araldico per la sua arte. Nelle opere esposte in questa sezione la discendenza fontanesiana non è diretta, ma è possibile rintracciare un comune clima di affezione, interessi e affinità. L’eredità è interpretata attraverso un esercizio di attenta rilettura, un’adesione che si traduce nella sfera della critica, della storia dell’arte, della pratica espositiva. Carrà dedica all’artista diversi scritti, Casorati fonda a Torino la “Società di belle arti ‘Antonio Fontanesi'”, Arturo Tosi di Fontanesi è collezionista e seguace nell’approccio emozionale alla pittura di paesaggio.
4) UN’EREDITÀ ROMANTICA: 1952- 54 , DA LONGHI AD ARCANGELI
“Una mostra di Fontanesi accanto a Corot sarebbe l’unica che resisterebbe” scrive Roberto Longhi al Segretario della Biennale di Venezia in preparazione dell’edizione del 1928 dove l’artista esporrà accostato ai piemontesi Enrico Reycend, Lorenzo Delleani, Vittorio Avondo.
L’apprezzamento di Longhi costituirà un viatico importante per il più giovane critico Francesco Arcangeli, proprio in questi anni impegnato nell’individuazione di ‘tramandi’ che per vie diverse potevano riconoscersi tra la pittura romantica e quella informale (dagli ultimi naturalisti fino, sia pure in accezione distinta, a Alberto Burri). Comune a questa eredità romantica ancora viva è per il critico il “nuovo significato dato alla parola natura: un significato che include tutto l’irrazionale degli elementi del cuore”.
In mostra, accanto a dipinti fondamentali dei “paesisti piemontesi” che Longhi accosta a Fontanesi nella Biennale del 1952 (Lorenzo Delleani, Enrico Reycend, Vittorio Avondo) sono esposte opere dei principali artisti dell’ultimo naturalismo arcangeliano (Pompilio Mandelli, Ennio Morlotti, Mattia Moreni, Sergio Romiti). Chiude il percorso espositivo – un intenso “Sacco” di Alberto Burri del 1953, proprietà della Galleria d’arte moderna di Torino.
Alle quattro sezioni principali della mostra fanno da contrappunto due grandi display luminosi che consentono di seguire, attraverso timeline e mappe di immagini, da un lato la biografia di Fontanesi e la complessa geografia dei suoi spostamenti, dall’altro le tappe della sua rivalutazione dopo la morte, grazie al racconto delle principali esposizioni e agli interventi della critica.
Due approfondimenti arricchiscono il percorso di opere fondamentali per la carriera di Fontanesi, la presentazione del ciclo di dipinti per il Caffè degli Svizzeri, realizzato dall’artista tra il 1845 e il 1847, prima di lasciare Reggio Emilia (oggi proprietà della Fondazione Manodori) e l’esposizione di un capolavoro fontanesiano “A Parella” appartenente alla collezione di Giuseppe Ricci Oddi, precoce e appassionato collezionista dell’artista, di cui la collezione, oggi esposta al pubblico a Piacenza presso la Galleria a lui intitolata, conserva un importante nucleo di opere.
La vita di Fontanesi. Inquieto nell’arte e nella vita, “artista randagio” per i contemporanei, “globetrotter” lo definiremmo oggi, Antonio Fontanesi ha trascorso un’esistenza densa di esperienze e incontri.
A Reggio Emilia, città dove nasce nel 1818, rimane fino a trent’anni quando, spinto dall’urgenza di partecipazione patriottica, si rifugia in Svizzera dove nel 1850 si stabilisce, a Ginevra, città che segna una tappa importante della sua vita. Da qui si sposta continuamente per dipingere tra i paesaggi del delfinato, ma compie anche importanti viaggi europei fondamentali per la sua arte: Parigi nel 1855 e nel 1861, Londra nel 1865. Il breve soggiorno a Firenze nel 1866 segna la sua volontà di tornare in patria, unitamente alla ricerca di un insegnamento accademico che gli offrisse stabilità economica. Dopo la breve esperienza di Lucca, finalmente nel 1869 ottiene la cattedra di paesaggio all’Accademia Albertina di Torino. Non si placa anche in questi anni la sua inquietudine di uomo e di artista; dal 1876 al 1878 si trasferisce a Tokyo dove insegna alla Scuola d’arte. Tornato a Torino, dove muore nel 1882, trascorre gli ultimi anni tra incomprensioni e difficoltà.
La mostra rappresenta una straordinaria occasione per conoscere opere d’arte fondamentali nel percorso dell’arte italiana dell’Ottocento e del Novecento. Diverse attività di laboratorio, articolate per ordini scolastici, sono proposte alle scuole, unitamente alla fruizione di due laboratori didattici allestiti ad hoc dove potranno anche svolgersi attività di animazione per bambini e campi gioco.
Le associazioni sono invitate a promuovere e organizzare visite guidate alla mostra anche in orari di apertura straordinari con visite guidate, che è possibile prenotare presso la Cooperativa Le macchine Celibi (tel. 0522/456816 – 320/5696201).
Un programma di eventi dedicato consentirà da un lato di approfondire le diverse tematiche della mostra coi curatori del catalogo, dall’altro di allargarne i contenuti in ambiti di più ampio interesse attraverso letture magistrali, workshop, cinema, animazioni teatrali e musica in un ricco calendario di attività che accompagneranno la mostra fino al 14 luglio.
La mostra sarà allestita a Palazzo dei Musei, via Spallanzani 1 Reggio Emilia e sarà aperta dal martedì al venerdì dalle 10 alle 13, sabato, domenica e festivi dalle 10 alle 19 con aperture straordinarie nel periodo pasquale (www.musei.re.it).
Ultimi commenti
buffon sei il numero uno del pianeta terra
Anche l' Ordine degli Avvocati di Reggio Emilia .
Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!