Non so se i quattro più uno del caso Arci-P38 abbiano commesso reati. La vicenda giudiziaria va separata da quella politica: la verificheranno i giudici, sempre che a un giudice si arrivi.
Come si sarebbe detto un tempo, invece, il problema è politico. Ed è sempre lo stesso, immutabile nei decenni: a Reggio Emilia, culla della prima fase del brigatismo, il rapporto con la propria storia è complicato e le Brigate Rosse rimangono tabù. Il ceto politico della sinistra espone una vistosa coda di paglia laddove si provi perlomeno ad approfondire la storia locale (in questo caso, anche nazionale) in chiave correttamente critica.
Possibile che Reggio Emilia, dalla violenza politica del dopoguerra in poi e attraverso i fatti del luglio 1960, non riesca ad articolare un minimo ragionamento di indagine e di riflessione storica sulla lotta armata? Possibile che tra i giovani venga diffuso ancora oggi, 9 maggio 2022, data dell’esecuzione di Aldo Moro, il simbolo della Renault 4 che conteneva il cadavere dello statista democristiano, quasi fosse un simbolo da esaltare e non una macabra derisione dei valori più autentici dello spirito repubblicano?
Si dice: ciascuno può avere la propria opinione. E mi sovviene Umberto Eco: “Internet ha dato modo di farsi ascoltare a legioni di imbecilli”.
Non ci sono alternative: fino a che Reggio Emilia rimarrà percepita nel vissuto nazionale come la città che diede i natali politici al terrorismo brigatista, non serviranno festival della fotografia o nuove trovate di marketing territoriale. Con la cancel culture, ovvero un tentativo di soppressione della storia che alberga ampiamente sia nel Pd che in municipio, non si va lontano.
Lei ha ragione direttore, ma non si è accorto che passa il giro d’Italia? Il sindaco indossa solo il rosa e va in giro saltellando come il Tenerone al Drive Inn