Online Papa Francesco e il Patriarca Kirill

Don Giuseppe Dossetti

In questo momento, il mio animo è angosciato, perché penso agli amici che ho in Ucraina, vedo la sofferenza di chi sta arrivando come profugo da una guerra ingiusta e assurda.

Cerco di liberare il mio pensiero dalla fin troppo facile tentazione di vedere il male tutto da una parte, come accade, quando le parole sono sostituite dalle armi. Questo è avvenuto troppe volte, dopo il 1989 e la caduta del Muro di Berlino. Fra l’altro, oggi, festa di san Giuseppe, ricorre l’anniversario dei bombardamenti sull’Iraq, nel 2003 e la vigilia dell’Annunciazione del 1999 iniziarono i bombardamenti su Belgrado, portando un ben diverso annunzio rispetto a quello dell’angelo a Maria. Queste coincidenze mostrano come abbia ragione il Papa nell’indicare nella guerra la peggior bestemmia contro Dio, che è il Dio della pace.

Oggi, da una parte e dall’altra, si afferma il carattere morale del proprio impegno bellico: dopo le formule come “scontro di civiltà”, “impero del male”, usate in passato e mai smentite, si è arrivati questa volta ad affermare che “siamo entrati in una lotta che non ha un significato fisico, ma metafisico”, cioè una lotta tra bene e male, senza possibilità di mediazioni. Qualcuno lo ha detto e quasi tutti l’hanno pensato.

Tra le eccezioni, c’è Papa Francesco. Tre giorni fa, è avvenuto qualcosa di straordinario: l’incontro, in via telematica, tra il Papa e il Patriarca Kirill di Mosca. Il Papa ha affermato (e il Patriarca ha concordato) che “la Chiesa non deve usare la lingua della politica, ma il linguaggio di Gesù”.

Qual è in questo frangente il linguaggio di Gesù?

Qualcosa del genere è già avvenuto cento anni fa, nel 1917. Papa Benedetto XV ebbe il coraggio di chiamare la Prima Guerra Mondiale con il suo nome, invitando i governi e i popoli a mettere fine all’”inutile strage”. Oggi, il Papa dice: “Un tempo si parlava, anche nelle nostre Chiese, di guerra santa o di guerra giusta. Oggi non si può parlare così … Le guerre sono sempre ingiuste … La guerra non è mai la strada”.
Questo è il linguaggio di Gesù, che indica l’unica via efficace, che è quella della conversione.

Convertirsi vuol dire anzitutto mettersi di fronte a se stessi e rileggere in modo onesto in che modo e con quali tempi si è arrivati a questa tragedia.

Il cardinale Parolin, Segretario di Stato del Papa, ha detto con assoluta sincerità: “Bisogna riconoscere che non siamo stati capaci di costruire, dopo la caduta del Muro di Berlino, un nuovo sistema di convivenza fra le Nazioni, che andasse al di là delle alleanze militari o delle convenienze economiche. La guerra in corso in Ucraina rende evidente questa sconfitta”.

Le divisioni tra Occidente e Oriente risalgono però a tempi molto più lontani. Il nome dell’Ucraina deriva dalla parola “krajna”, che significa frontiera. Infatti è proprio lì che passa il confine tra il mondo latino e il mondo bizantino. Non siamo stati capaci di accogliere le differenze come ricchezza, ma ne abbiamo fatto il pretesto per contese e guerre, a partire da quel 1054, quando l’inviato del Papa depose sull’altare di santa Sofia a Costantinopoli la bolla di scomunica del Patriarca.

La purificazione della memoria, come la chiamava san Giovanni Paolo II, è essenziale per la conversione, per comprendere le ragioni dell’altro e per esaminare con cura se siamo ancora infettati da quei veleni.

La mia preoccupazione è rivolta anche verso il futuro. Che cosa avverrà dopo? Non parlo delle conseguenze politiche ed economiche, non è mio compito. Ma penso alla crescita del risentimento e all’aggravarsi della spaccatura, all’interno dell’Europa e all’interno della cristianità. Che cosa succederà, all’interno di un’ortodossia umiliata che si ritirerà in una orgogliosa autosufficienza? Che cosa succederà in un Occidente sempre più superbo e incapace di mettersi in discussione?

Sarà importante continuare a pregare, perché la preghiera ci costringe alla conversione; e sarà importante anche cercare occasioni di incontro con le persone, con tutti, per abbattere concretamente i muri che la guerra vuole costruire tra gli uomini. Dobbiamo abbattere la Torre di Babele, la confusione dei linguaggi, la sordità verso le ragioni degli altri.