Vescovo: ho lavorato per unire i reggiani

vescovo mons Massimo Camisasca

Oggi pomeriggio il congedo e il saluto di monsignor Massimo Camisasca al Terzo Polo Universitario di Reggio Emilia nell’incontro con le autorità civili e militari, le istituzioni, le realtà imprenditoriali e del mondo universitario, i consigli e gli organismi diocesani.

“Saluti.

A conclusione di questi nove anni passati nella terra emiliano-guastallese ho desiderato questo incontro. Esso non è semplicemente l’occasione di un saluto formale ad autorità con cui ho collaborato in questo periodo o a persone di rilievo che ho avuto la gioia di incontrare. Per me esso è soprattutto l’opportunità per esprimere il mio grazie per l’accoglienza ricevuta e per le relazioni vissute. Ma più ancora, il momento adatto per richiamare ancora una volta il significato della presenza della Chiesa nella società civile e politica di ogni tempo e luogo.

La Chiesa cattolica concepisce se stessa non semplicemente come una comunità spirituale, anche se il fondamento della sua unità è lo Spirito di Dio donato agli uomini attraverso il battesimo. La comunità cristiana, nata dal Verbo di Dio fatto carne, è una realtà presente nella storia degli uomini. Essa sa che il suo destino ultimo è oltre la storia. Per usare l’espressione di Gesù nel dialogo con Pilato, essa è un regno non di questo mondo e perciò può vivere in qualunque regno del mondo che ne rispetti l’identità e la vita. Anzi, essa ha la consapevolezza di poter contribuire al bene della società civile che vive nel tempo perché portatrice di una esperienza dell’umano che la Chiesa vede riflessa nel suo Fondatore e perciò, in fondo, in Dio stesso.

Il tema della libertà religiosa è un tema sempre attuale nella storia della Chiesa e dei popoli. Nel tempo la comunità ecclesiale ha preso consapevolezza che essa non deve volere privilegi per sé, ma semplicemente il riconoscimento di uno spazio pubblico di presenza che deve essere ugualmente garantito a tutte le comunità portatrici di bene, presenti in un dato territorio o in una data nazione.

La battaglia per la libertà religiosa non è una battaglia inattuale. Proprio perché portatrice di un’esperienza dell’umano, la comunità cristiana vede con dolore le correnti culturali e politiche antiumanistiche che percorrono il nostro tempo e si fanno dominatrici. Penso all’idea dell’uomo come creatore dei valori che guidano la vita, incapace di riconoscere valori superiori di verità, di giustizia e di bene che possano essere riconosciuti da tutti e orientare così il diritto e la vita civile, qualunque sia storicamente la credenza o la non credenza dei singoli cittadini. Se vogliamo una società in cui l’io singolo e forte non sia il criterio decisivo della storia, dobbiamo riconoscere l’apertura all’altro, al trascendente, come ineliminabile fondamento di una sana convivenza. L’altro va riconosciuto sempre e comunque come fonte di diritto: l’altro, ancora embrione nel ventre della madre, l’altro povero, immigrato, abbandonato, indifeso, anziano, morente.

Una società che non mette a proprio fondamento il diritto alla vita, toglie vita al diritto.
L’uomo non è creatore. Egli è chiamato a riconoscere qualcosa o qualcuno che viene prima di lui. L’oggettività di una creazione che non accetta di essere ricondotta alla fluidità dei sentimenti. Quando pensiamo che il governo della storia e delle vite personali possa essere affidato ai sentimenti, in realtà affidiamo gli eventi alla logica del più forte. Così avviene oggi. Le tecnologie sono spesso creatrici di sempre nuovi sentimenti per governare la singolarità dell’io con la logica del mercato.

Quali sono le realtà che lasciano in me una fondata speranza di bene per la vita di Reggio e della sua provincia? Innanzitutto una diffusa cultura del lavoro, che non è assolutamente scontata nel nostro tempo. Mentre dobbiamo impedire che essa diventi un idolo, dobbiamo nello stesso tempo riconoscere che l’amore per il lavoro, per la creatività, per il proprio contributo offerto alla storia e alla vita di un popolo, è un grande bene che va tutelato e custodito.

All’origine della passione per il proprio lavoro c’è spesso la passione per la propria famiglia e per il proprio popolo. Il lavoro è fonte di serenità e di cultura. Le imprese reggiane costituiscono una rete importante, aperta al Paese e all’intero mondo. Una rete creatrice di benessere e capace di rinnovarsi attraverso nuove conoscenze e collaborazioni. Le imprese reggiane sono alla testa della trasformazione del nostro Paese. Auspico che esse sappiano sempre coniugare cultura tecnologica e sapienza umanistica. Sappiano portare nel mondo la bellezza della nostra storia e della nostra tradizione, della nostra arte, della letteratura, del gusto di vivere.

Le bellezze naturali e storiche costituiscono un’altra grande opportunità della nostra terra. Non dobbiamo aver paura della nostra storia. Davanti a noi sta la necessità di ridare valore al nostro Appennino, alle terre e ai paesi della nostra montagna, portatrice di splendidi paesaggi, di antiche storie plebane, di una cultura del cibo e del vivere assieme che non dobbiamo dimenticare.
La nostra terra ha lottato per la propria libertà. Lo ha fatto nei secoli passati. Lo ha fatto di recente, nella guerra di Liberazione. È giunto il tempo della riconciliazione tra gli schieramenti che videro i reggiani dividersi e che furono causa di tante morti. Ho cercato di lavorare per questo intendimento e spero che voi vi impegnerete a continuare in questa direzione.

Desidero esprimere qui il mio grazie più sincero ai signori Prefetti che si sono succeduti in questi nove anni, ai Sindaci di tutti i nostri Comuni, ai presidenti della Provincia, alle autorità militari, a tutte le altre autorità di ogni ordine, con cui ho avuto, durante questi anni, un rapporto sempre fecondo di collaborazione.
A loro il mio augurio più vivo per il tempo che ci attende.