di Luigi Bottazzi
Le votazioni della scorsa settimana per eleggere il presidente della Repubblica hanno messo in luce, qualora qualcuno non se ne fosse già accorto, la crisi che attraversa il nostro sistema politico e i rischi che corre la stessa convivenza democratica.
I partiti ormai raccolgono un consenso limitato, sono lontani dalla forma dei partiti di massa novecenteschi e vivono una crisi profonda della capacità di rappresentanza testimoniata dalla estrema fluidità della loro consistenza elettorale, come anche dal decrescente numero di iscritti.
Non si tratta di un mero dato numerico, bensì di un indicatore della decadenza progressiva di un sistema di partiti ormai privi di una identità culturale identificabile e in grado di intercettare e educare il consenso sociale e di essere collegati alle famiglie politiche europee.
L’elezione del presidente della Repubblica si è svolta in un contesto inedito: l’inesistenza di una vera maggioranza politica. Anche per questo ha restituito, in forma estrema, l’immagine di ciò che accade nei partiti e dunque il livello di inconsistenza dell’elaborazione programmatica e prima ancora progettuale, l’inaffidabilità dovuta anche alla scomparsa di regole democratiche interne, capaci di selezionare la classe dirigente, i rischi insiti nella personalizzazione delle forze politiche con il risultato che non sempre il leader è seguito dai ‘suoi’ parlamentari.
Quella che si apre è una fase di difficile lettura, nella quale saranno inevitabili tensioni e rese dei conti all’interno di molte delle forze politiche. Siamo di fronte a un evidente deficit ‘istituzionale’ della destra, a un tentativo di aggregazione sul centro con tutte le sue contraddizioni, ma che sarà bene seguire con attenzione e con un’occasione che si apre per il centrosinistra che ha saputo muoversi con prudenza e lungimiranza in questa crisi.
Di qui la necessità di un lavoro, non certo facile, interno alle forze politiche. Passaggi certo dolorosi e necessari, che tuttavia dovrebbero rappresentare anche l’occasione per approfonditi esami di coscienza e per uno sguardo che cerca orizzonti non proprio ravvicinati.
Vi è una assoluta necessità di cambiamento, che tuttavia non si può limitare al solo sistema elettorale o ai regolamenti parlamentari: l’esigenza più profonda e urgente è incidere sui processi interni alle forze politiche.
Un passaggio, questo, che certo non è privo di rischi, a cominciare da quello, già annunciato in queste ore di una scorciatoia “costituzionale” che indica la soluzione nella elezione diretta del presidente della Repubblica da parte del corpo elettorale. In realtà il nostro sistema è equilibrato e garantisce una prospettiva davvero democratica, ma chiede di passare attraverso l’esercizio della democrazia dispiegato in quei soggetti costituzionalmente riconosciuti che sono i partiti.
E per questo serve, ed è urgente, un radicale rinnovo della classe politica: è inutile rinnovare le regole se i processi democratici vengono aggirati o resi farraginosi dai comportamenti.
In questa settimana si è notato un crescente sentimento di insofferenza da parte di tanti cittadini di fronte alle lungaggini del sistema democratico, quasi a rimarcare la distanza fra le liturgie di palazzo e le urgenze del paese. Questo sentire, all’apparenza giustificabile, è anch’esso figlio e immagine della crisi della politica di cui si è detto: se la democrazia non viene esercitata e non è davvero capace di includere e coinvolgere i cittadini è destinata ad apparire come cosa distante, in ultima analisi inutile.
La pratica della democrazia chiede pazienza, capacità si mediazione e di dialogo, certo tra interlocutori competenti e sinceramente preoccupati del bene comune. Ed è per questo che i partiti dovrebbero assolvere a questo compito di mediazione, offrendo elaborazioni, diventando luoghi di costruzione del consenso attraverso l’inclusione.
Oggi ci si può chiedere se è possibile e a che condizione rivitalizzare il sistema dei partiti. Sapendo che in una società profondamente cambiata e con la rivoluzione digitale in atto si apre la sfida di pensare e praticare forme nuove di partecipazione democratica, è proprio sulla democrazia che si apre il terreno di un orizzonte storico e politico tutto da costruire.
Occorre guidare la situazione attuale in direzione di una nuova fase, che faccia uscire il Paese dalla lunga transizione iniziata nel 1994 e che ha visto una progressiva degenerazione populista del nostro quadro politico, sia a destra come a sinistra. Se questo è il compito a cui è chiamata la nostra politica non si tratta però di un compito esclusivo della classe dirigente. Occorre ridare priorità alla cittadinanza, ossia ad un senso di responsabilità diffuso, che investe ognuno e che interroga su cosa possiamo fare.
(ex consigliere regionale DC-PPI)
Il deficit e’ di ogni partito politico. sI SONO TUTTI SOTTRATTI alla responsabilita’ amministrativa. E’ tutto ingessato come sempre. Siamo sudditi di un branco di Peones. Siamo indietro come la coda del cammello, non del maiale. Allora la scheda elettorale ? Care sezioni di Partito, la scheda elettorale mettetevela nel culo! Non serve un intelletualoide per descrivere il nulla.
Bravo Gigi.