Un detenuto del carcere Sant’Anna di Modena ha inviato un reclamo di sei pagine alla ministra della giustizia Marta Cartabia su quanto avvenuto durante la rivolta scoppiata l’8 marzo del 2020 nella casa circondariale modenese, protesta nata per sollevare il problema del pericolo di diffusione del nuovo coronavirus all’interno della struttura penitenziaria.
L’uomo (C.C. le sue iniziali) – che aveva già presentato un esposto lo scorso novembre e che era stato sentito come persona informata sui fatti nell’ambito dell’inchiesta della procura di Modena – sarebbe uno dei cinque testimoni della morte del 40enne Salvatore Cuono Piscitelli, uno dei nove detenuti morti in seguito a quella rivolta. Piscitelli era stato trasferito dal Sant’Anna di Modena al carcere di Ascoli Piceno, ma come era stato sottolineato nell’esposto presentato qualche mese fa alla procura di Ancona proprio dai cinque detenuti, il 40enne era giunto da Modena già “in fin di vita”.
A rilanciare la denuncia del detenuto alla ministra Cartabia è stato il Comitato verità e giustizia per la strage del Sant’Anna: “In queste sei pagine di testimonianza viene nuovamente descritta la barbarie a cui sono stati sottoposti i detenuti durante le rivolte. Si torna a porre l’accento nuovamente sui ritardi nei soccorsi o addirittura sulla loro omissione”.
Secondo il racconto di C.C. alla ministra, “molti detenuti, alcuni in palese stato di alterazione probabilmente dovuta all’assunzione di farmaci, furono violentemente caricati e colpiti al volto con manganellate usando anche i tondini in ferro pieno che si usano per la battitura nelle celle. Alcuni di questi detenuti, a cui non fu dato nessun supporto medico, nel giro di pochi minuti morirono. La mia domanda personale è: se non fossero stati picchiati al volto e fossero stati condotti in ospedale sarebbero morti?”.
Il detenuto ha riferito di essersi trovato “coinvolto seppur in maniera passiva” nella rivolta modenese e “di aver assistito ai metodi di intervento messi in atto dagli agenti della casa circondariale dopo che i detenuti si erano consegnati spontaneamente: veri e propri pestaggi effettuati tra le due porte carraie e in una sala adiacente alla caserma degli agenti. Il pestaggio avvenne in uno stanzone dopo che tutti ci eravamo consegnati, dopo che eravamo stati ammanettati e privati delle scarpe”.
Sul decesso di Piscitelli in carcere ad Ascoli, invece, C.C. ha chiesto alla ministra della giustizia di “rompere il muro di omertà”, raccontando quello che ricorda di quel giorno: “Verso le 20 circa fummo fatti salire senza porre resistenza sui mezzi della penitenziaria e condotti alla casa circondariale di Ascoli Piceno. Alcuni di noi vennero picchiati durante il viaggio, a cui partecipò anche Piscitelli. Arrivati ad Ascoli, fummo fatti scendere e posti in una serie di furgoni parcheggiati nel piazzale, denudati, senza scarpe e con le porte aperte. Dato l’orario e le temperature basse, rimanemmo al freddo per più di un’ora, all’interno dei furgoni fummo nuovamente picchiati. Mi chiedo come mai non furono chiesti i filmati delle telecamere del piazzale di Ascoli”.
Piscitelli morì la mattina dopo il trasferimento, secondo C.C. anche a causa dei mancati soccorsi: “Il 9 marzo alle 7.30 circa – si legge nella lettera – salì una “squadretta” in reparto composta da circa 10 agenti, alcuni con casco, scudo e manganello. Cella dopo cella ci picchiarono tutti, una violenza ingiustificata dato che eravamo stati trasferiti da Modena, eravamo arrivati in sicurezza ammanettati e senza scarpe e senza opporre resistenza alcuna. Quella di Ascoli fu una vera e propria spedizione punitiva per i fatti occorsi a Modena il giorno prima”.
“Piscitelli stava male – ha ricordato ancora il detenuto – ed emetteva versi di dolore: sollecitammo nuovamente gli agenti senza ottenere risposta. Verso le 9, dopo l’ennesimo sollecito, sentimmo un agente dire “fatelo morire“.
Per gli otto decessi avvenuti a Modena durante la rivolta (nove, considerando anche quello di Piscitelli) il giudice per le indagini preliminari del tribunale emiliano Andrea Romito aveva disposto, lo scorso giugno, l’archiviazione dell’inchiesta contro ignoti, che in un primo momento aveva ipotizzato i possibili reati di omicidio colposo e morte o lesioni come conseguenza di altro delitto: le autopsie sui corpi delle vittime avevano indicato le cause di quelle morti nell’overdose da metadone e psicofarmaci, assunti dopo che i detenuti avevano saccheggiato la farmacia del carcere.
La procura di Modena, nel frattempo, ha però aperto un altro fascicolo di indagine contro ignoti per il reato di tortura dopo un esposto presentato lo scorso febbraio da un detenuto del carcere Sant’Anna.
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Anche l' Ordine degli Avvocati di Reggio Emilia .
Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
Diranno, sia a sinistra che a destra, che c'è un disinteresse della politica, in particolare dei giovani, diranno che molti non votano perché pensano che, […]