Animali in città, Modena seconda in Italia e la più virtuosa in Emilia

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La gestione degli animali nelle città italiane, nella sua disomogeneità, potrebbe essere un buon indicatore del caos amministrativo del Paese, dei suoi immensi divari tra aree geografiche e tra Comuni. È quanto emerge dalla nona edizione di Animali in città, presentata oggi online, indagine di Legambiente sui servizi offerti dalle amministrazioni comunali e dalle aziende sanitarie per la gestione degli animali d’affezione e la qualità della nostra convivenza in città con animali selvatici e non. Un tema più urgente che mai dopo un anno di pandemia che ha visto aumentare il disagio economico di una parte della popolazione e, stando a quanto è possibile osservare, forse anche la presenza di cani nelle nostre case.

Approvare al più presto l’anagrafe nazionale per tutti gli animali d’affezione per fare uscire dalla

clandestinità presenze e bisogni diffusi, fare rete tra enti pubblici e privati emulando le esperienze positive, porsi l’obiettivo di 1.000 strutture veterinarie pubbliche ben funzionanti, tra canili e gattili sanitari e ospedali veterinari (una ogni 50-100 mila cittadini a seconda delle esigenze territoriali): queste le richieste di Legambiente.

Alla presentazione sono intervenuti, coordinati da Antonino Morabito, responsabile nazionale Fauna e Benessere animale di Legambiente, il ministro della Salute Roberto Speranza, il direttore generale di Legambiente Giorgio Zampetti, la vicepresidente Commissione Ambiente della Camera dei Deputati Rossella Muroni, il presidente dell’ANMVI Marco Melosi e il presidente dell’ENCI Dino Muto. Tanti sono stati i sindaci e le realtà che hanno presentato esperienze virtuose e buone pratiche ed è stata l’occasione per consegnare il premio Città e Aziende sanitarie amiche degli animali 2020, che vede Modena sul podio della classifica dei Comuni virtuosi insieme a Prato e Bergamo.

Buoni anche gli altri dati che riguardano l’Emilia-Romagna: tra i comuni premiati figurano infatti anche Cervia, per quanto riguarda l’organizzazione e l’efficacia delle attività di controllo, Zocca (MO) e Bologna per la migliore gestione complessiva degli animali da affezione e randagi, rispettivamente nella categoria piccoli comuni sotto i 5.000 abitanti e grandi comuni tra i 200 e i 500 mila abitanti.

Questa edizione analizza dati 2019 e restituisce, quindi, un quadro pre-pandemia: in linea il trend precedente, cioè in lieve miglioramento complessivo ma senza progressi rilevanti in nessuno dei campi esaminati, e tanto più utile a capire le possibili criticità da affrontare quando torneremo a muoverci liberamente.

Sono state considerate solo le risposte complete ai due questionari specifici inviati dall’associazione alle amministrazioni comunali e alle Asl, poi suddivise in macro aree: quelle di 1.069 amministrazioni comunali (circa il 13,5% di tutti i comuni d’Italia, responsabili per i servizi del 27% della popolazione italiana) e di 46 aziende sanitarie (equivalenti al 40,7% del totale e a circa il 47% della popolazione).

Il 69,5% dei Comuni dichiara di avere uno sportello (un ufficio o un servizio) dedicato ai diritti degli animali in città. Teoricamente, dunque, oltre due terzi dei Comuni dovrebbero essere in condizioni di dare buone risposte alle esigenze dei cittadini e dei loro amici pelosi, piumosi o squamati; in realtà, solo uno su sette (15,7%) raggiunge una performance sufficiente e solo Prato, Modena e Bergamo superano il punteggio necessario a raggiungere l’ottimo.

“Ci prepariamo ad affrontare una crisi economica e sociale post pandemia – dichiara Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – che rischia di ripercuotersi anche sui milioni di animali da compagnia che abitano nelle nostre case e riempiono spazi relazionali importantissimi. Senza aiuti concreti, si rischiano scelte dolorose e l’aumento di abbandoni. Prevenire e accompagnare queste difficoltà, con iniziative diffuse, pubbliche e private, sarà essenziale per garantire il benessere a persone e animali”. A dare concretezza a questa preoccupazione basta il dato fornito dalle Aziende sanitarie, che dichiarano 226 canili rifugio in attività per 36.766 posti disponibili, ma al 31 dicembre 2019 erano ospitati in queste strutture 92.371 cani (2,5 volte i posti disponibili).

I numeri continuano a restituirci un quadro parziale e frammentario, a causa del funzionamento a volte inesistente dell’anagrafe canina, ad oggi ancora l’unica anagrafe animale obbligatoria per i milioni di animali da compagnia presenti nelle case degli italiani. Secondo le amministrazioni comunali che hanno risposto, la media è di un cane ogni 7,5 cittadini residenti; ma solo il 36,1% dei Comuni rispondenti conosce il numero dei cani iscritti all’anagrafe nel proprio territorio, per un totale di 1.060.205 cani su 7.913.890 residenti.

Sulla base delle anagrafi territoriali più complete, la stima del numero di cani presenti in Italia, che oscillano tra 3 e 2 cani per cittadino residente, va dai 19.800.000 ai 29.800.000. Numeri analoghi per i gatti. Sono 490 i Comuni che dichiarano di aver dato lettori di microchip in uso al personale, per un totale di 784 lettori: in media 1,6 per amministrazione.

La spesa per la gestione degli animali in città ammonta complessivamente a 228.682.640 euro nel 2019 (con un incremento del 3,6% rispetto all’anno precedente). I Comuni dichiarano, infatti, di aver speso per questa voce 156.857.113 euro, a cui vanno sommati i 71.825.527 euro spesi dalle aziende sanitarie. La somma totale è ingente se confrontata con altre voci di spesa del Paese, è pari a 2,7 volte la somma impegnata per tutti i 24 Parchi nazionali italiani (85.000.000,00 euro, riparto 2019) o a 62 volte quella per tutte le 27 Aree marine protette (3.708.745,90 euro, riparto anno 2019) e complessivamente spropositata rispetto alla qualità dei servizi offerti in termini di benessere animale.

In Emilia-Romagna, per quanto riguarda la spesa pubblica, Modena si aggiudica il secondo posto con 4,2 milioni di euro spesi, seguita da Bologna al quarto posto con 0,7 milioni di euro.

Per il rapporto tra risorse impegnate e risultati ottenuti, solo 11 dei Comuni campionati (1%) raggiunge una performance eccellente; a dimostrazione della varietà di tipologia. La maggior parte dei costi attuali è assorbita dai canili rifugio, per i quali i Comuni dichiarano di spendere il 59,3% del bilancio destinato al settore (circa 93 milioni di euro stimati per il 2019) e di gestire in proprio il 2,2% di queste strutture, tramite ditte o cooperative con appalto pubblico il 21,7%, tramite associazioni in convenzione il 27,9%. Per il rimanente 48,2% non è dato sapere.

“Mentre canili e gattili sanitari sono essenziali, in numero adeguato e strettamente correlato alla popolazione umana, è invece possibile e urgente pensare a un modello che preveda la drastica riduzione dei canili rifugio – dichiara il responsabile nazionale fauna e benessere animale di Legambiente, Antonino Morabito –. Servono l’impegno e la determinazione di cittadini e pubblica amministrazione e una strategia che affronti il ritardo accumulato con le anagrafi territoriali e il mancato controllo demografico degli animali ‘da compagnia’. Inoltre, non va assolutamente sottovalutato che molte specie animali, quelle selvatiche in particolare, loro malgrado, sono sempre più spesso chiamate a vivere in contesti urbani dove le criticità emergono in pochissimo tempo, producendo enormi sofferenze animali e costi sanitari, sociali ed economici crescenti. A trenta anni esatti dall’approvazione della legge 281/91 è arrivato il momento che il Parlamento istituisca l’anagrafe nazionale degli animali d’affezione per garantire il benessere di tutti gli animali da compagnia, consentendo di prevenire possibili zoonosi e gestire, correttamente e con sempre meno disparità territoriali, i servizi agli oltre 100 milioni di animali da compagnia presenti nelle case degli italiani”.

Secondo i Comuni, in media su 5 cani vaganti catturati e portati in canile rifugio per 4 è stata trovata una felice soluzione (tra restituzioni ai proprietari, adozioni o re-immissioni come cani liberi controllati); secondo le Asl il rapporto è di uno a uno. Ma, come per il numero di presenze registrate, i dati di dettaglio restituiscono situazioni estremamente diverse.

I cani liberi controllati, o cani di quartiere, sono meno onerosi, ma richiedono condivisione di responsabilità e spese, equilibrio tra numero dei cani e numero di cittadini incaricati e aree idonee anche in termini di accettazione sociale. I Comuni che hanno dichiarato di avere cani liberi controllati sono nel 67,4% dei casi al Sud e Isole, nel 4,2% al Centro e nel 28,4% dei casi al Nord Italia. Complessivamente sono stati dichiarati 1.632 cani liberi controllati, con 281 cittadini specificamente impegnati. Solo il 29,7% dei Comuni dichiara di monitorare le colonie feline presenti nel proprio territorio e da questi monitoraggi risulterebbero 16.650 colonie, con oltre 143.530 gatti e 8.881 cittadini impegnati. Scarseggiano le aree cani: solo il 24,2% dei Comuni dichiara di avere spazi dedicati all’aperto, in media uno ogni 9.699 cittadini residenti.

Solo l’14% dei Comuni dichiaranti è in contatto con un centro di recupero per animali selvatici a cui indirizzare chi dovesse trovare un uccello ferito e la percentuale scende al 9% se si trova un mammifero ferito, al 2% se si trova una animale marino o un rettile in difficoltà, e all’1% se si trova un animale esotico ferito. Solo l’8,7% delle Aziende sanitarie dichiara di conoscere i dati sanitari degli animali ricoverati presso i Centri di recupero: 4.847 animali selvatici ricoverati nel corso del 2019.

Per quanto riguarda i regolamenti e le ordinanze, il 35% dei Comuni dichiara di avere un regolamento per la corretta detenzione degli animali in città, l’accesso ai locali pubblici e negli uffici in compagnia dei propri amici a quattro zampe è regolamentato in poco più di 1 Comune su 10 (11%) mentre i Comuni costieri che hanno regolamentato l’accesso alle spiagge sono ancora il 14,9%. Ancora pochissimi, solo il 6%, i Comuni che hanno adottato un regolamento per facilitare la cremazione, l’inumazione e la tumulazione dei nostri amici a quattro zampe. Solo il 6% dei Comuni rispondenti ha approvato regolamenti per facilitare le adozioni dai canili con agevolazioni fiscali o sostegni; il 3% un regolamento per facilitare, con agevolazioni fiscali o sostegni economici la sterilizzazione, o contrastare, con oneri fiscali, chi detiene riproduttori e cucciolate, mettendo un freno all’attuale, incontrollata, popolazione riproduttiva canina e felina. Il 7,8% si è dotato di un regolamento per contrastare l’uso di esche o bocconi avvelenati nei territori urbani e periurbani. Infine, il 10,6% dei Comuni ha regolamentato l’arrivo e la sosta di spettacoli con animali, mentre il 4,3% dichiara di aver regolamentato botti e fuochi di artificio.