Martedì 15 dicembre i militari del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Parma hanno eseguito un sequestro preventivo disposto dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Parma Mattia Fiorentini a carico di una nota società parmense attiva nel commercio di prodotti medicali.
Agli amministratori di fatto e di diritto della società – interamente posseduta da un soggetto giuridico lussemburghese e con un assetto proprietario e di governance riconducibile a un unico nucleo familiare – sono addebitate diverse ipotesi di reato di falso in bilancio: secondo l’accusa attraverso vari artifici contabili sarebbero state occultate le perdite civilistiche maturate nel corso degli anni, in modo da poter vantare una situazione economica e patrimoniale di gran lunga migliore rispetto a quella reale.
Lo scopo era quello di presentarsi come una realtà con una condizione economica e patrimoniale solida e poter così ottenere l’aggiudicazione di gare d’appalto pubbliche, dalle quali proviene l’80% del fatturato della società. Sulla base del Codice dei contratti, infatti, uno dei requisiti speciali per la partecipazione e per l’aggiudicazione di gare a evidenza pubblica è il possesso di una certa capacità economico-finanziaria – rilevabile, tra le altre cose, anche nel non aver riportato perdite d’esercizio nei bilanci degli ultimi tre anni.
Alla luce dell’indagine, l’autorità giudiziaria ha disposto il sequestro del capitale sociale e dell’intera azienda, oltre a somme di denaro (i saldi dei conti correnti della società e degli indagati) e altri beni nella disponibilità della società e degli indagati (immobili situati nelle province di Parma e Modena e autovetture di grossa cilindrata) fino a raggiungere un controvalore complessivo di 730mila euro, importo ritenuto pari al profitto del presunto reato. La società è stata affidata a un amministratore giudiziario nominato dal gip per garantire la gestione e la prosecuzione dell’attività economica.
Il sequestro è l’esito di un’attività di indagine diretta dalla procura della Repubblica di Parma (in particolare dal pm Arienti) e avviata dopo un’attività ispettiva fiscale dell’Agenzia delle Entrate, sviluppata attraverso l’esame delle scritture contabili societarie e l’analisi dei bilanci dal 2014 al 2018, avvenuta anche con l’aiuto di una consulenza tecnica.
L’indagine ha fatto emergere il reiterato utilizzo – negli anni dal 2014 al 2017 – di risconti e storni di posizioni debitorie per eliminare costi dal conto economico societario, per un totale di circa 5,6 milioni di euro, allo scopo di evidenziare una situazione patrimoniale molto migliore di quella reale. Nel 2018, dopo l’avvio degli accertamenti di natura fiscale, sono state al contrario predisposte diverse scritture nei conti della società per tentare di “sterilizzare” ed emendare le poste contabili artificiosamente alimentate negli anni precedenti, in questo caso per presentare una situazione reddituale peggiore rispetto alla realtà in modo da versare meno imposte.
I reati di falso in bilancio sono contestati a cinque persone fisiche, come commessi nell’interesse della società. A fronte di tali condotte, pertanto, alla società è stato ascritto l’illecito amministrativo dipendente dal reato ex Dlgs 231/2001 (fino all’agosto del 2017) per non aver adottato efficacemente modelli organizzativi e gestionali idonei a prevenire quel genere di reati.
A tre persone è contestato anche il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. In particolare dalle indagini è emerso che la società controllante lussemburghese fatturava alla controllata italiana prestazioni di approvvigionamento (procurement) di prodotti e apparecchiature medicali per importi anche consistenti, pur essendo una mera holding di partecipazione priva di personale, di mezzi e di una struttura idonea a eseguire prestazioni o cessioni a favore di qualunque cliente.
Il socio lussemburghese, nonostante non sia stato rinvenuto alcun contratto di procurement e non fosse pattuita alcuna provvigione, applicava una maggiorazione di prezzo rispetto all’acquisto dei prodotti dai fornitori esteri pur non svolgendo di fatto alcuna attività operativa. L’intermediazione commerciale veniva svolta direttamente dal titolare effettivo della società lussemburghese, dominus e amministratore di fatto di entrambe le società.
Alla società italiana, quindi, sono contestate fatture per operazioni parzialmente inesistenti emesse dalla controllante lussemburghese per un importo di circa euro 2,4 milioni, con conseguente evasione dell’imposta Ires per 638mila euro e Irap per 92mila euro.
Ultimi commenti
Anche l' Ordine degli Avvocati di Reggio Emilia .
Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
Diranno, sia a sinistra che a destra, che c'è un disinteresse della politica, in particolare dei giovani, diranno che molti non votano perché pensano che, […]