Venerdì 20 novembre la Guardia di Finanza di Fidenza, sotto la direzione della procura di Parma, ha eseguito un provvedimento di sequestro preventivo di oltre 4 milioni di euro (alcuni immobili nelle province di Parma, Foggia e Roma, numerose partecipazioni societarie e disponibilità finanziarie depositate in diversi conti correnti) nell’ambito dell’indagine “Daunia”, che a fine ottobre aveva già portato al sequestro di beni per un valore di circa 5 milioni di euro nei confronti di alcune società riconducibili a un sodalizio criminale.
Secondo gli inquirenti le società, operative sul territorio emiliano attraverso un consorzio con sede a Sorbolo – in provincia di Parma – e gestito da tre fratelli di origine foggiana, erano i veicoli formali attraverso i quali era gestita la forza lavoro necessaria per le commesse relative alla manutenzione degli impianti industriali ricevute da diverse importanti aziende (risultate poi estranee alla frode fiscale).
L’attività investigativa ha ricostruito puntualmente l’operatività dell’associazione per delinquere, svelando la sistematica autoproduzione e annotazione – nella contabilità delle società nelle quali erano assunti i lavoratori – di false fatture, che permettevano di abbattere il carico fiscale delle aziende consentendo alle stesse di poter offrire prezzi altamente concorrenziali sul mercato dell’impiantistica industriale.
Questa seconda tranche di sequestri è stata eseguita su disposizione del Tribunale del Riesame di Parma, che ha emesso un’ordinanza a seguito dell’appello presentato dalla procura emiliana: la richiesta di misure cautelari patrimoniali avanzata da quest’ultima, infatti, era stata soltanto parzialmente accolta dal giudice per l’indagine preliminare del tribunale di Parma, con un provvedimento che di fatto aveva ridimensionato gran parte delle fattispecie rilevate durante le indagini.
Il pubblico ministero aveva richiesto il sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p. finalizzato alla confisca per equivalente su tutti i beni degli indagati, compresi quelli delle imprese ad essi riconducibili, per un ammontare pari a oltre 16 milioni di euro, considerata la somma complessiva del profitto diretto conseguito grazie alla frode fiscale. Il gip, tuttavia, aveva escluso l’aggredibilità del patrimonio (beni immobili e disponibilità finanziarie), accogliendo la richiesta soltanto per un ammontare di circa 8 milioni di euro ed escludendo dunque i beni del consorzio e quelli di alcune società consorziate di recente costituzione, non ravvisando il fumus criminis a carico di queste ultime imprese.
Il Tribunale del Riesame di Parma, accogliendo invece totalmente la richiesta del pm, ha esteso il sequestro anche al patrimonio di tali società, confermando pertanto il quadro accusatorio complessivo nei confronti degli indagati, ritenuti responsabili di aver prodotto grazie a queste aziende fatture per operazioni inesistenti per un valore di altri 45 milioni di euro.
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Anche l' Ordine degli Avvocati di Reggio Emilia .
Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
Diranno, sia a sinistra che a destra, che c'è un disinteresse della politica, in particolare dei giovani, diranno che molti non votano perché pensano che, […]