La vittoria del sì ha fatto esultare Luigi Di Maio e l’ala governista dei 5Stelle ma la sconfitta elettorale del Movimento, per quanto ammessa solo a denti stretti, è di proporzioni clamorose.
I grillini registrano alle regionali una sconfitta estesa e generalizzata, zero presidenti e zero capacità di competere col centrodestra e col Pd. Nel Veneto di Zaia non raggiungono il quorum del 3% e restano fuori dal consiglio regionale. Il Veneto, mica la Valle D’Aosta, con tutto il rispetto per i valdostani. Quasi ovunque le percentuali si fermano a una sola cifra e le rare eccezioni restano comunque escluse da ogni partita per la leadership.
Allora bisogna chiedersi: con quale autorità politica i 5Stelle continuano a governare il Paese esprimendo il premier, il ministro degli Esteri, diversi dicasteri importanti, oltre a una schiera di boiardi di stato nominati a titolo di amicizia anziché di competenza?
Le capriole di Di Maio non riscontrano più il consenso degli italiani. Conte si sente l’Unto del Signore più di quanto non si sentisse a suo tempo Berlusconi, ma resta un avvocato pugliese che ha vinto alla lotteria. Hanno iniziato con il “vaffa” al sistema e ora il sistema sono loro, in giacca e cravatta o in smoking. È comprensibile che gli agi del governo ne gratifichino le personalità, ma che c’entrano costoro con le vicende degli italiani?
Va riconosciuta l’onestà intellettuale di Alessandro Di Battista, il quale ha parlato di “sconfitta peggiore da quando esiste il Movimento”. Ora tutti, governisti compresi, invocano gli stati generali e addossano le colpe al povero Vito Crimi, reggente incassatore. Sarà lui il capro espiatorio? Di Maio ovviamente ci proverà. Difficile che riesca a riprendersi la base grillina, tenuta a bada con slalom continui e una costante guerriglia interna.
Il punto, ancora una volta, riguarda la relazione complicata tra democrazia e potere. I 5Stelle oggi valgono sì e no il 10% dell’elettorato. Il 90% degli italiani non li può più vedere. L’esperimento di Grillo e Casaleggio è fallito sulle prime poltrone su cui si sono appoggiati i giovani rampanti. La loro presenza nella politica italiana è marginale.
Propugnavano la democrazia via internet e ora si aggrappano al voto tradizionale del 2018 per difendere posti e potere fino a che potranno. Hanno governato con Salvini e col Pd, tanto per loro non fa differenza. Quando usciremo da questa commedia sarà sempre troppo tardi. Ma ci vorrà altro tempo ancora.
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Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
Diranno, sia a sinistra che a destra, che c'è un disinteresse della politica, in particolare dei giovani, diranno che molti non votano perché pensano che, […]
Continuano gli straordinari successi elettorali dell'area riformista liberaldemocratica,che si ostina a schierarsi sempre indissolubilmente nel campo del centrosinistra senza mai beccare nemmeno un consigliere,cosi' come […]