Il maleficio del ponte sullo Stretto

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Deve esistere uno sconosciuto maleficio al ministero delle Infrastrutture: coloro i quali ne assumano la guida, compresi quelli da cui meno te lo aspetteresti, entrano in una bolla iperuranica nella quale vengono indotti, certamente a loro insaputa e chissà con quale formula segreta, a innamorarsi delI’immaginifico e secolare sogno del Ponte sullo Stretto di Messina.

Persino una ministra pragmatica come la piacentina Paola De Micheli, di cui si possono ammirare o meno i modi spicci ma a cui non si può negare la capacità di stare con i piedi per terra, se ne è uscita con un tweet sconcertante dove annuncia soddisfatta la “creazione di una commissione per collegare Calabria e Sicilia via ferro, via strada e via pista ciclabile”.

Se non vi siete ancora messi a ridere, sappiate che all’annuncio via Twitter sono seguiti migliaia di commenti che hanno riversato ironie di ogni risma sull’uscita ministeriale. Persino una ministra dem come la De Micheli si è lasciata convincere della necessità di un’opera di cui si parla da un secolo e per cui si sono già spesi centinaia di milioni di euro per inutili piani di studio, commissioni, società miste e ogni ben di Dio?

Basterebbe una semplice consulenza geologica per chiudere definitivamente i conti con questa idea sciagurata. Al di sotto dello Stretto corre la faglia Taormina-Messina, responsabile nel 1908 della più grave tragedia sismica della storia italiana che rase al suolo la costa messinese e quella reggina, provocando 75mila morti.
Quella faglia è attiva e si sposta di 2-3 millimetri l’anno. Un altro terremoto analogo a quello del 1908 metterebbe a grave repentaglio la tenuta di qualsiasi ponte di collegamento, al di là delle ipotizzabili soluzioni tecnologiche adottate per rendere “elastica” la struttura.

Il ponte sullo Stretto, come soggetto immaginario, affascinò statisti e capi di governo, capibastone mafiosi e notabili locali. Si tratterebbe di un’opera gigantesca e costosissima, contraria ai più elementari concetti di mobilità contemporanea i quali suggeriscono trasferimenti via mare frequenti, sostenibili ed ecologici.
L’abnorme struttura costituirebbe un crimine verso il paesaggio e non farebbe che unire, in tre chilometri di supertecnologia, reti stradali in stato di perenne incuria e vaste zone di abbandono in Calabria come in Sicilia (dove per spostarti da Messina a Trapani devi affrontare un vero calvario).

Perfino il reggiano Graziano Delrio, predecessore di De Micheli, si lasciò stregare dal maleficio del ponte e azzardò qualche mossa. Per fortuna non ebbe tempo di procedere perché il governo cadde prima.

Ora invece il problema torna a porsi. Sale il sospetto: che questo esecutivo di imbonitori pensi di inserire il ponte sullo Stretto tra i progetti del recovery fund? Da costoro c’è da aspettarsi di tutto. Che Scilla e Cariddi, se non Dio, ce la mandino buona.