Il dibattito che sembra riaprirsi intorno alla diga di Vetto “deve avere a riferimento una questione primaria, e cioè le opportunità di sviluppo che si possono determinare per una vasta area del territorio montano, che non può essere semplicemente chiamato a ospitare l’invaso senza essere, contemporaneamente, evidente beneficiario degli effetti di lungo periodo che l’opera può positivamente generare”: è questa la posizione di Matteo Caramaschi, presidente di Confcooperative Reggio, che ha puntualizzato così la posizione della centrale cooperativa reggiana sulla grande infrastruttura ferma dal 1989, che è considerata una priorità dall’organizzazione di Largo Gerra nella lista di impegni a cui è chiamata la Regione Emilia-Romagna in questa fase di ripresa post-emergenza Covid.
Alcune recenti prese di posizione sul tema, secondo Caramaschi, “si sono soffermate in modo pressoché esclusivo sui vantaggi che la diga genererebbe a valle sul sistema agroalimentare, che evidentemente potrebbe beneficiare di un’alta qualità delle acque per l’irrigazione delle colture arboree e il mantenimento di quei prati stabili che rappresentano una grande risorsa per il Parmigiano Reggiano”.
In realtà, però, per il presidente di Confcooperative “si tratta di una visione parziale della questione, perché l’invaso di Vetto va sì valutato su questo versante e sul concorso che assicurerebbe alla regimentazione di acque, che ancora nel 2017 hanno determinato pesanti danni nell’area di Lentigione, ma deve anche rappresentare una risorsa concreta per lo sviluppo dell’area appenninica in cui andrebbe a collocarsi”.
È da qui, secondo la centrale cooperativa, che dovrebbe nascere ogni considerazione relativa alle dimensioni dell’opera e al paesaggio, al tema della viabilità e dei servizi implementabili nell’area dell’Enza e nelle zone circostanti – sia verso il crinale che verso la collina e la pianura: “Dal crinale appenninico al Po occorre un’integrazione infrastrutturale che consenta di valorizzare tutte le risorse esistenti, e in questo senso la diga di Vetto rappresenta una possibilità di naturale integrazione per rilanciare opportunità di lavoro, attrattività turistica e nuove produzioni in montagna, mettendo al contempo in sicurezza la pianura, evitando prelievi di acqua dal Po e riducendo quelli da falda in pianura, con tutti benefici geologici e ambientali connessi”.
“Pensare solo alle necessità tecniche a valle – ha aggiunto Caramaschi – significherebbe realizzare un invaso troppo modesto per generare opportunità stabili in montagna, che a quel punto pagherebbe solo i disagi derivanti dagli anni che serviranno alla realizzazione dell’opera; sulla base di diversi studi e in base delle analisi dei Consorzi irrigui e di miglioramento fondiario della Val d’Enza, che rappresentano un punto di riferimento fondamentale per valutare tutti gli impatti dell’opera, riteniamo che la diga possa stare tra gli 80 e i 110 milioni di metri cubi, evitando sia le opere faraoniche che le dimensioni inefficaci e assicurando tempi e costi di realizzazione sostenibili”.
Il valore della diga di Vetto, dunque, secondo il presidente di Confcooperative Reggio “sta nel sostenere una primaria esigenza legata al corretto e proficuo uso di una risorsa preziosa come l’acqua e, nondimeno, nel promuovere in modo rilevante quell’insieme di economie che possono garantire sviluppo sostenibile alla collina e alla montagna, cioè ad aree il cui presidio è fondamentale per tutto il territorio”.
Ultimi commenti
Anche l' Ordine degli Avvocati di Reggio Emilia .
Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
Diranno, sia a sinistra che a destra, che c'è un disinteresse della politica, in particolare dei giovani, diranno che molti non votano perché pensano che, […]