È un’inchiesta a tratti senza precedenti quella condotta dalla procura di Piacenza che, nella giornata di mercoledì 22 luglio, ha portato all’emissione di numerose ordinanze di custodia cautelare tra le quali anche quelle che riguardano sei militari (alcuni già in carcere, altri invece agli arresti domiciliari) in servizio nella caserma Levante dei Carabinieri della compagnia di Piacenza, in via Caccialupo; caserma che è stata successivamente – e per la prima volta in Italia – posta sotto sequestro. Soltanto uno dei militari assegnati a quella caserma, al momento, sembrerebbe essere esente da qualsiasi addebito.
Le ordinanze di custodia cautelare in carcere sono state emesse nei confronti di 12 soggetti, di cui cinque appartenenti all’Arma dei carabinieri, mentre ai domiciliari sono finite altre cinque persone, di cui una appartenente all’Arma. È stato inoltre disposto l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria per tre militari appartenenti all’Arma e per un appartenente al Corpo, oltre all’obbligo di dimora in provincia di Piacenza per un ufficiale dell’Arma, il comandante della compagnia di Piacenza.
Il comando generale dell’Arma dei Carabinieri ha disposto l’immediata sospensione dall’impiego per i militari coinvolti nell’inchiesta e ha avviato una valutazione amministrativa dei fatti “per adottare, con urgenza, rigorosi provvedimenti disciplinari” a loro carico.
I reati contestati a vario titolo dall’accusa – definiti “impressionanti se si pensa che sono stati commessi da militari” dalla neo-procuratrice Grazia Pradella – spaziano dallo spaccio all’estorsione, dalla tortura alla ricettazione, passando per arresti illegali, lesioni personali, peculato d’ufficio, falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale, violenza privata aggravata e truffa ai danni dello Stato.
L’inchiesta, aperta per fare luce su fatti risalenti a un periodo compreso tra il 2017 e il 2020, è durata circa sei mesi e si è avvalsa di intercettazioni telefoniche e informatiche. I reati più gravi contestati agli indagati, stando alle indagini, sarebbero peraltro stati commessi durante il periodo del lockdown imposto dall’emergenza Coronavirus, “con disprezzo delle più elementari regole di cautela imposte dai decreti governativi”, come ha sottolineato la procuratrice Pradella, e proprio in un territorio – quello della provincia di Piacenza – tra i più flagellati dalla pandemia in Emilia-Romagna e in Italia.
I militari al centro dell’inchiesta, secondo l’accusa, avrebbero operato attivamente per garantire il regolare spaccio di sostanze stupefacenti anche durante le settimane di quarantena, garantendo protezione ai pusher in cambio di un tornaconto economico, addirittura fornendo una sorta di servizio di “staffetta” con macchine che trasportavano stupefacenti.
Uno dei carabinieri, inoltre, è accusato di aver occultato un quantitativo di droga nel proprio garage per conto di una banda di spacciatori, con alcuni dei quali sono stati anche scattati dei selfie “celebrativi” che ritraggono alcuni degli indagati con in mano mazzette di banconote. In un’altra occasione, invece, un militare avrebbe fornito agli spacciatori una falsa certificazione per consentire a questi ultimi di potersi recare a Milano per rifornirsi di sostanze stupefacenti senza destare troppi sospetti.
Tra gli altri episodi contestati ai carabinieri piacentini, infine, quello che ha riguardato il violento pestaggio di un cittadino, ingiustamente arrestato e accusato di spaccio di droga con prove false costruite per poter giustificare il fermo dell’uomo.
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Anche l' Ordine degli Avvocati di Reggio Emilia .
Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
Diranno, sia a sinistra che a destra, che c'è un disinteresse della politica, in particolare dei giovani, diranno che molti non votano perché pensano che, […]