di Mauro Del Bue – Non è giusto ricordare Paolo Lanzi (più in basso ritratto in una foto durante una vacanza ad Hammamet, in Tunisia, nel 1982) come un sindacalista, come un cooperatore, come un politico. Per questo scrivo. Dalla politica Paolo si era dissociato trenta, forse quarant’anni fa abbandonandola senza rimpianti e con un sorriso beffardo. Ne aveva anticipato tutti gli effetti di crisi e di degenerazione, gli eccessi di dogmatismo, le manie imitative, i buchi umani. Anche del mondo sindacale, che sottoponeva ai suoi soventi giochi ironici. Sapeva prendere in giro i riti dell’attività politica e sindacale come pochi, così come un po’ tutti i suoi protagonisti. Attore di razza del teatro comico, Paolo era soprattutto un filosofo.
Laureato in sociologia a Trento, dove si formò il nucleo più colto dell’estremismo nostrano, era diventato per tutti noi, suoi sinceri amici, una sorta di consulente, di libri, di opinioni, di relazioni. Amava la filosofia greca, ma anche quella orientale, leggeva a più non posso i nuovi pensatori, che sapevano collegarsi, come Severino, ai greci, quest’ultimo a Parmenide, ma soprattutto amava quelli come Pierre Hadot, che alla stregua degli stoici e degli epicurei intendevano praticare i concetti di vita predicati, perché, mi diceva, “la filosofia é un modo di vivere e non solo di pensare”.
Dotato di un senso della battuta unico e di una voglia di vivere rara, Paolo era per me un punto fermo di contatto quotidiano seduto con Tina, la sua ex moglie, avvocato di successo, al bar sotto i portici di San Pietro. Era un incontro denso di ricordi, di discussioni. Come sempre di risate. Quante vacanze trascorse insieme, e partite di calcio allo stadio e in tivù, poi la comune passione per il ciclismo. E quando, mi raccontava, alla festa dell’Unità della sua Villa Cella misero una tivù per gustarsi il campionato del mondo del 1953 vinto da Coppi. O quando seguì col padre la Reggiana a Bolzano nel 1956 nello spareggio per la serie C. Aveva un padre tenore leggero e sapeva cantare anche qualche romanza d’opera. Uno così raro, unico, sarà difficile dimenticarlo, più difficile di uno importante per ruoli avuti.
Molto più difficile di un semplice sindacalista, di un cooperatore, di un politico. Sarà molto complicato prescindere dalla sua esistenza, certo non sempre coerente con le idee professate, ma chi si materializza in essere umano può farsi perdonare gli errori, il suo modo giocoso di intendere la vita. Non so come avrà trascorso i suoi ultimi momenti, già ferito da un terribile ictus e poi finito senza pietà dal violento virus del momento. Avrà forse accennato a un sorriso?
Ultimi commenti
Anche l' Ordine degli Avvocati di Reggio Emilia .
Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
Diranno, sia a sinistra che a destra, che c'è un disinteresse della politica, in particolare dei giovani, diranno che molti non votano perché pensano che, […]