Italia sì, Italia no… ma non laureati

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Domenica mattina. Mi alzo alle otto, faccio colazione e vado verso il mio studio. Ennesima domenica passata sui libri. Prima di iniziare, però, apro Repubblica, leggo due notizie e mi imbatto nell’ultimo post di Concita de Gregorio. Il titolo subito mi attrae: “I neolaureati e l’insipienza dei politici”. Una madre racconta delle difficoltà della la figlia neolaureata in medicina ad entrare nelle scuole di specializzazione, poiché i posti a disposizione sono la metà rispetto a quelli del corso di laurea. Allo stesso tempo, però, sono sempre più numerose le Regioni che scarseggiano di specialisti e sono costrette a richiamare medici in pensione o medici dall’estero. Il senso di frustrazione legata agli studi diventa un po’ troppo pesante per tenerlo chiuso nella mia mente, vorrei allora raccontarvi quello che penso.

Partiamo da due numeri e fatti concreti. La laurea assicura una maggiore facilità di ingresso nel mondo del lavoro e rappresenta, tutt’oggi, una forma di protezione in caso di crisi economiche e difficoltà. Tuttavia, sappiamo tutti quanti che l’Italia è il penultimo paese in Europa per numero di laureati. Solo il 26 per cento degli italiani tra i 25 e i 34 anni è in possesso della laurea. Se la legge della domanda e dell’offerta non inganna, i neo laureati italiani dovrebbero essere pagati a peso d’oro. Beh… no. In generale, nei Paesi OCSE si registra una relazione negativa tra la quota di popolazione che ha ottenuto la laurea e il vantaggio retributivo. Come ci si aspetta, cioè, meno sono i laureati in un paese maggiore sarà il loro stipendio, il vantaggio economico che possono trarre dalla loro titolo di studio. Tuttavia, in Italia questa relazione ha un comportamento anomalo: si osservano contemporaneamente bassi tassi di laureati e altrettanto bassi vantaggi economici. In pratica, se questa domenica avessi tagliato l’erba per mio padre sarebbe stato meglio. Quantomeno avrei ricevuto la paghetta.

Ma c’è un ulteriore fattore che deve spaventare particolarmente i giovani che si affacciano al mondo del lavoro. Il recente rapporto Istat parla di overeducation, sovraistruzione. Ai giovani lavoratori è stato chiesto di valutare il loro ruolo e chiedersi se la loro formazione fosse eccessiva o adeguata per le mansioni che svolgono. Il 38,5 per cento dei diplomati e laureati di età compresa tra i 15 e i 34 anni (circa 1,5 milioni) dichiara che per svolgere adeguatamente il proprio lavoro sarebbe sufficiente un livello di istruzione più basso rispetto a quello in possesso. Dal punto di vista del lavoratore, questa condizione di sovraistruzione si lega a guadagni ben inferiori alle aspettative, minori opportunità di carriera e minore motivazione, interesse e soddisfazione per il proprio lavoro. Dal punto di vista della nostra società, invece, i ragazzi si trovano in un contesto lavorativo ben al di sotto delle loro potenzialità, aspettative e ambizioni. Non c’è nulla di strano se si guarda all’estero con occhi sognanti, ma per la nostra società è una perdita in termine di potenziale umano di qualità. Le contraddizioni che abbiamo visto fino ad ora sono una perdita ingente per le nostre imprese ma ancora di più per il nostro tessuto sociale, che sente il bisogno di giovani competenti in ogni suo ambito, dal volontariato alla politica.

Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello! Mai frase fu più vera.
Italia della scarsa valorizzazione del capitale umano, degli studi e dei sacrifici fatti. Ma anche Italia dell’Università di Bologna, con le lezioni che furono tenute da Umberto Eco, o dell’università di Modena con Romano Prodi docente di Economia. Italia con poche aspettative per i neolaurati, ma anche l’Italia dell’innalzamento delle pensioni minime. L’Italia in cui non esiste solidarietà tra fasce d’età, del campanilismo non solo locale ma anche generazionale. Italia dei fondi tagliati all’istruzione e alla ricerca ma della flat tax, navigator e reddito di cittadinanza. Italia dei giovani bamboccioni, ma che non premia affatto chi cerca di laurearsi e lavorare contemporaneamente per non gravare sulle spalle della famiglia.

Italia dei giovani laureati choosy, perché essere selettivi tra tirocini extracurriculari poco pagati o contratti rinnovati di anno in anno non è ben visto.

Secondo voi, come ho studiato in questa domenica mattina?




C'è 1 Commento

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  1. SARA DI ANTONIO

    Brava Martina. Per quanto la vita dei laureati sia dura, è sempre prezioso ciò che le persone intelligenti possono portare come contributo. Per tagliare il prato c’è sempre tempo, per studiare no.


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