Il volto dell’uomo

vignetta Makkox pagella

Duecentoventicinquesima lettera alla comunità al tempo della conversione

 

“Nello studio dell’appartamento dove vivo, al Quirinale, ho collocato un disegno che raffigura un ragazzino, di quattordici anni, annegato, con centinaia di altre persone, nel Mediterraneo. Recuperato il suo corpo, si è visto che, nella fodera della giacca, aveva cucita la sua pagella: come fosse il suo passaporto, la dimostrazione che voleva venire in Europa per studiare”.

Queste parole del presidente Sergio Mattarella mi sono venute in mente e le ho associate all’episodio evangelico della Trasfigurazione. Mi sono meravigliato e mi sono chiesto per quale ragione mi sia capitato di collegare due storie così differenti.

La Trasfigurazione è un episodio della vita di Gesù. Egli sale sul monte Tabor e, dice il vangelo, “il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante” (Lc 9,29). Ci sono tre testimoni, gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni, che si sentono rapiti da questa bellezza e non vorrebbero più tornare alla pianura. Una nube li avvolge e si ode la voce di Dio, che accredita Gesù: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!”.

Affascinante, certo; ma quale collegamento con la morte del ragazzino, venuto dal Mali per morire a poche miglia dalle nostre coste?

Mi sono ricordato che i tre apostoli, che “videro la gloria” di Gesù, sono gli stessi che, nell’Orto degli Olivi, saranno testimoni dell’angoscia e dell’agonia del Figlio dell’Uomo. Gesù suda sangue su quella roccia, che ancora si può vedere a Gerusalemme. Egli è l’Uomo dei dolori, preannunziato dal profeta Isaia: “Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi; disprezzato e reietto dagli uomini, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, per non vedere quest’uomo sfigurato” (Is 53).

“Chi è quell’uomo?”, si saranno chiesti Pietro, Giacomo e Giovanni. Che cosa ci può essere in comune tra la gloria del Tabor e l’umiliazione del Gethsemani? O forse dobbiamo accettare il paradosso: quella gloria è la gloria del Figlio, che nel deserto aveva risposto a Satana: “Non avrai pretese di fronte al Signore tuo Dio”, neanche la pretesa di essere salvato dalla morte; figlio primogenito, che acquisisce, mediante la sofferenza e la morte, del diritto di rappresentare il male del mondo. Gloria sì, ma la gloria dell’amore.

“Chi è quell’uomo?”, ci si chiede di fronte a Gesù. Ma subito la domanda diventa: chi è l’uomo? Noi o il bimbo affogato, così orgoglioso e fiducioso nella sua pagella? Come possono stare insieme, nello stesso mondo, due destini così contrastanti?

Penso che la voce di Dio si rivolga a noi, indicandoci il bimbo, e tutti quelli come lui: “Questi sono i miei figli, i prediletti: ascoltateli”. Certo, “ascoltateli”: non chiudete il cuore e la mente, lasciatevi commuovere dall’ingenuità dei loro desideri, di chi aspira soltanto ad andare a scuola, di chi pensa che ci sia un posto per lui nel mondo e che una pagella basti ad aprire la porta dei sogni.




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